Pagina:Della Porta - Le commedie I.djvu/123

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atto primo 113


Forca. Ah, ah, ah: sí, sí.

Filigenio. Vedi pur che la conscienza accusatrice dell’animo tuo ti fa accertar il vero, ancorché non vogli?

Forca. La vede ogni ora, ogni momento.

Filigenio. Come ne sta innamorato?

Forca. Innamoratissimo.

Pirino. (Questo forfante par che discuopra i miei secreti).

Filigenio. E segue tuttavia la prattica?

Forca. La segue con tutto il suo studio.

Filigenio. Quando pensa lasciarla?

Forca. Quando lasciará la vita.

Filigenio. Come lo sai?

Forca. Ce l’ho inteso dir mille volte.

Filigenio. Tanto è ostinato?

Forca. Ostinatissimo.

Filigenio. Perché tu non lo togli da questo proposito?

Forca. Se non ubbidisce a voi, perché vuol ubbidir me?

Filigenio. Quando va a casa sua, che fa?

Forca. Gionto in casa sua, si butta sul letto supino, se la toglie in braccio e se la squinterna sul ventre e se l’accomoda innanzi: volta di qua, volta di lá, non la fa star mai ferma per tre o quattro ore, finché stracco non va tutto in acqua.

Pirino. (Oh, che ti cadano i denti e quella lingua traditora!).

Filigenio. E ti par questa buon’opra?

Forca. Buonissima, eccellentissima.

Filigenio. E tu sei quello che lo guidi e aiuti?

Forca. Io, quando lo vedo tiepido e disamorato, l’aguzzo l’appetito.

Filigenio. Talché tu sei il maestro.

Forca. Maestro io? signor no, è il maestro del Studio.

Filigenio. Che Studio? che signor no? Di che parli tu?

Forca. E voi di che parlate?

Filigenio. Io parlo della sua puttana.

Forca. Ah, io non pensava che voi parlaste di cose triste, ma della sua Legge; e tutto il giorno si trastulla con la sua libraria, la strapazza e se la tiene aperta innanzi.