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114 la carbonaria


Pirino. (O buon Forca, come l’hai ben salvata!).

Filigenio. Cosí mi burli, eh?

Forca. Io non burlo altrimente; rispondo alle vostre dimande.

Filigenio. O Dio, che avessi un bastone! ché avendo tu la pelle delle spalle piú indurita di quella degli asini, se ti do con le mani, offenderò piú me che te. O che unguento di cancheri! Traditorissimo, se non ti disponi a dirmi la veritá, proverai lo sdegno di un padron irato e schernito da te. Ti darò tante bòtte che amboduo restaremo stracchi, io di dar, tu di ricevere.

Forca. Dico il vero, a voi sta il creder quel che volete.

Filigenio. Non mi hai risposto a quello che ti dimandava. Vuoi tu negarmi che Pirino non stia innamorato di una puttana, chiamata Melitea, che l’ha in poter un ruffiano che ne chiede cinquecento ducati?

Forca. Signor no, signor sí, eh, padrone.

Filigenio. Che «signor sí», «signor no» cerchi in nasconder la veritá? ed è tanta la sua forza che a tuo dispetto ti muove la lingua a dirla.

Forca. Eh, padron mio.

Pirino. (Sta’ saldo, Forca, che il padron non ti scalza).

Filigenio. Che padrone? mi fai del balordo; che balbezzare è il tuo?

Forca. Io non so nulla; ma... .

Filigenio. Che ma?

Forca. Direi alcuna cosa, se stessi sicuro che egli non l’avessi a sapere.

Filigenio. T’impegno la fede mia che non sará per saperlo giamai.

Forca. Dubito che voi lo scoprirete un giorno, ed egli mi salterá adosso con un bastone; e non sapete che tremo in sentirlo nominare?

Filigenio. Non dubitar, dico, ché quando io non bastassi a difenderti, sarei uomo da farti franco e mandarti via.

Pirino. (Questa bestia mi fa entrare in suspetto).

Forca. So che lo risaprá, e le spalle ne patiranno la penitenza. Ma alfin voi sète il padrone, vo’ piú per voi che per lui.