Pagina:Della Porta - Le commedie I.djvu/163

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atto quarto 153


Dottore. Dove è ella?

Mangone. Chiavata in camera strettamente.

Dottore. Dici il vero; ma non in camera tua e da altri.

Mangone. Dubitate forse che Pirino e Forca non me l’abbino tolta?

Dottore. Non lo dubito, ma lo tengo per certo; perché intendo che da Pirino e da Forca ti sia stata sbalzata di casa.

Mangone. Saranno eglino prima sbalzati da una forca.

Dottore. Di grazia, toglimi da tale ambascia, ché mi bolle nel cor un strano desiderio di vederla.

Mangone. Volentieri. O Filace, o Filace!

Filace. Che volete?

Mangone. Che cali giú Melitea, che la vuole veder il dottore.

Filace. Vado.

Mangone. Filace è un gran custode, molto astuto e sospettoso, e teme insin delle mosche. Poi, gabbar me? son un tristo e son ruffiano — bástavi questo, — e son il maggior ruffiano di tutto il ruffianesmo.

Filace. Mangone, la camera è aperta e dentro non v’è alcuno.

Mangone. Oimè, che m’hai ucciso!

Filace. Come ucciso?

Mangone. Parli pietre, me n’hai dato una in testa che m’ave ucciso. E per dove potria esser scampata?

Filace. Io non mi son mosso oggi di casa né fuor dell’uscio; e se non ha poste l’ali e scampata per le fenestre, non ha potuto scampar altronde.

Dottore. Che dici ora? non parli?

Mangone. No, né può uscir fiato dalla gola: Forca m’ha strangolato.

Dottore. Che ti dissi io?

Mangone. E mi fa peggio ch’egli m’abbi ingannato, ch’ogni altro forastiero. O Forca, ti veggia alzato in mezzo due forche che arrivino insin al cielo! o che Dio ti dia la mala ventura!

Dottore. Tu l’hai avuta giá. Ma perché non cominci il lamento sopra i cinquecento ducati? Il lamento fallo sopra di te: che tu l’hai perduti, che colpa n’ho io?