Pagina:Della Porta - Le commedie I.djvu/223

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atto secondo 213


Essandro. E quando Gerasto volesse pur darglilo, per contentarsi egli di poca dote, essendo molto ricco... ?

Panurgo. Faremo che Cleria non si contenti.

Essandro. Cleria è timida, rispettosa; non ardirá questo.

Panurgo. Mancherá di trovar il pelo all’uovo? Ho detto il disegno cosí in grosso, poi tanto voltaremo di qua e di lá e l’anderemo polendo e accommodando, che stii a modo nostro.

Essandro. Se ben Gerasto non è degli accorti uomini di questa terra, pure con questo inganno ingarbugliaremmo altro cervello che il suo. Ma chi sará costui che saprá fingere Narticoforo, e Cintio quel giovane cosí storpiato?

Panurgo. Stimate voi che disponendomi io a questo, non sappi fingere Narticoforo, quel maestro di scuola?

Essandro. Ma bisognarebbe alle volte sguainare qualche parola in «bus» e in «bas».

Panurgo. Se ben pensate ch’io sia qualche poveruomo, son pur nobile; ché per certe fazioni della mia patria fu bisogno scamparne fuori, e non avendo avuto modo come vivere, con quelle poche lettere che avea imparate in casa mia per mio trastullo, col fare il pedante in diversi paesi ho vissuto onorevolmente. A prima giunta gli darò in faccia un «Quanquam te, Marce fili...».

Essandro. Ti conosco di tanto ingegno che saresti per aggirar altro capo che il suo. Ma chi fingerá Cintio?

Panurgo. Ci sono il Capestro, il Truffa, e Morfeo parasito, che è il miglior di tutti, perché attaccandomi un fegadello al tallone, me lo strascinerò appresso dieci miglia, ed è poco conosciuto in questa terra.

Essandro. Bisogna che sia ribaldo da dovero.

Panurgo. Egli è ribaldo, arciribaldo, re di ribaldi e mille volte peggio di quel che vogliamo; né bisogna che molto l’ammaestriamo, ché appena accennandogli il principio, capisce il negozio e compone di testa.

Essandro. O Dio, che quanto piú mi volgo questo inganno per l’animo, piú mi riesce a proposito! Dove arremo vesti orrevoli per vestir Narticoforo?