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230 la fantesca

animo, come si avesse a tòrre una medicina). Ben trovata la mia moglie carissima, non posso tenermi che non ti baci un par di volte per amorevolezza!

Santina. «Chi ti fa quello che far non suole, o t’ha ingannato o ingannar ti vuole».

Gerasto. Non si può star sempre ad un modo, moglie mia cara.

Santina. Oh come odori di muschio, mi pari una profumeria.

Gerasto. Passando per la bottega di maestro Cesare profumiero, mi spruzzò un poco d’acqua nanfa sul volto.

Santina. Non so chi mi tiene la lingua.

Gerasto. Lasciamo il ragionar di questo adesso. Maritata che sará nostra figlia con questo romano, ci vogliam menare una vita la piú felice del mondo.

Santina. Come será questa vita felice?

Gerasto. Maritaremo subito Fioretta e la caveremo di casa, ché non è buona per servire: è troppo delicata, pare una gentildonna; ne troveremo una piú rustica, che possa spezzar legna, carriarle, far la bucata, star in cocina e sovra tutto, bisognando, toccar delle bastonate.

Santina. Fioretta l’ho maritata giá.

Gerasto. L’ho maritata io con un mio amico con men di dugento ducati di dote.

Santina. Io con men di cento.

Gerasto. Io con men di cinquanta.

Santina. Io con men... .

Gerasto. Lasciami finir di parlar, se vuoi. Colui se la torrá nuda.

Santina. Questo mio gli fará la sovradote.

Gerasto. Il mio gli dará cento ducati di piú.

Santina. Il mio, dugento.

Gerasto. Il mio... .

Santina. Anzi il mio... .

Gerasto. Tu non sai che voglio dire, e passi innanzi.

Santina. E tu dici prima che altri risponda.

Gerasto. Hai detto?

Santina. Sí bene.