Pagina:Della Porta - Le commedie I.djvu/241

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atto secondo 231


Gerasto. Invano hai detto, perché l’ho maritata io prima che tu.

Santina. Io l’ho maritata e dato la mia fede, né posso contravenire al giuramento.

Gerasto. A te non sta maritarla, ma al padron della casa.

Santina. Impácciati tu di maschi, che a me tocca la cura delle femine.

Gerasto. Tu non ti intendi di matrimoni, a pena sai filare; attendi a filare.

Santina. E tu attendi a medicare. Ma qualche cosa ci è di sotto: non stimi ch’io abbi prima pensato a quello che tu pensi? Se tu mi tenti... .

Gerasto. Che cosa?

Santina. Vuoi che dica?

Gerasto. Di’ tosto.

Santina. Quella...

Gerasto. Chi quella?

Santina. ... che tu sai...

Gerasto. Che so io?

Santina. Tu non sai chi dico io, eh?

Gerasto. Ben fu grande la mia sventura aver te per moglie! che seccaggine, che febre, che inferno è questo? Che sia maladetto colui... , non lo voglio dire.

Santina. Che si fiacchi il collo chi fu il primo a farne parola!

Gerasto. Che fussi piú tosto morto che incorso in simil sciagura!

Santina. Non è stata né sará mai la piú infelice femina di me per esser maritata a tal uomo! Mira a chi ho data cosí bella dote e cosí grande intrata...

Gerasto. Tanto grande che la metá mi soverchieria; me ci affogo dentro.

Santina. ... e bella e profumata,...

Gerasto. Puzzulente piú d’una carogna.

Santina. ... senza quello che vi vien dietro, ché me l’hai guasto e consumato.

Gerasto. Menti per la gola! parla piú chiaro, bestia!