Pagina:Della Porta - Le commedie I.djvu/315

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atto quinto 305


Essandro. Il mal cresce, la speranza è mancata, il disio è fatto maggiore, il consiglio disperso: non ascolto piú niuno, ragiono con la morte che sotto varie imagini mi scorre dinanzi. Giá è persa la medicina che sola mi poteva recar salute; molte vane speranze m’han lusingato fin qui; or pongo fine allo sperare, non ingannarò piú me stesso.

Panurgo. Vòlgeti a me.

Essandro. Ho annodata la fune e or me l’adatto al collo.

Panurgo. Chi t’ave imparato, il boia?

Essandro. La disperazione! Vuoi tu alcuna cosa dall’altro mondo?

Panurgo. Sí, sí, vo’ che mi porti una lettera a mio padre, che li bacio le mani e desio saper come stia.

Essandro. M’allonghi la vita! giá salo la scala e annodo il capestro al trave.

Panurgo. Te terrò per i piedi, non ti farò salire.

Essandro. Scherzi con la morte non con me. Adesso mi butto.

Panurgo. Non buttarti cosí presto. Ecco spezzato il capestro: perché non lo tentavi prima che adoperarlo? Volemo che la fortuna s’appicchi lei con quel capestro che apparecchiava per voi?

Essandro. Fai errore trattener la morte, con beffe, ad un misero.

Panurgo. Allegrezza, allegrezza!

Essandro. Hai torto darmi la baia, ch’io non t’offesi, che io seppi mai, e t’ho in luogo di padre e non di servo tenuto.

Panurgo. La via che avevi presa per gir all’altro mondo, lasciala, e prendi quella per gir alla casa di Cleria, che è tua moglie.

Essandro. Come moglie?

Panurgo. In carne e ossa.

Essandro. Burli in cosa dove va la vita.

Panurgo. È venuto Apollione tuo zio e riconosciutosi con tuo padre; son stati d’accordo con Gerasto e ti han concessa Cleria.

Essandro. Deh, perché mi burli e aggiungi beffe a beffe?

Panurgo. Allégrati della mia allegrezza adesso, come io mi son allegrato della tua: ch’io ho ritrovato mio figlio.