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164 la cintia


Erasto. Moglie mia cara, non bisogna mostrarsi cosí semplice e innocente. Qui è tuo marito e tuo padre, non hai altri al mondo che ti amino piú di noi. Bisogna per finirla venir al tronco, per non aver a goderci insieme di nascosto; e se non volevate venir ad un tal tronco, non bisognava sposarci insieme.

Amasio. Come sei tu giaciuto meco, in sogno od in farnetico?

Erasto. La notte passata non sète voi venuta a giacer meco insino all’alba?

Amasio. Veggio che non solo sei pazzo, ma dubito, se tratto molto teco, che non impazzisca ancor io. Dove hai tu meco trattato mai?

Erasto. In camera e in letto.

Amasio. Tu non puoi esser gentiluomo né persona onorata, poiché in sul viso e in presenza di mio padre senza sospetto alcuno ardisci dir cose che non fûr mai per imaginazione, con tanto pregiudizio dell’onor mio.

Erasto. Moglie mia cara, non dico ciò per infamar l’onor vostro, ché non ho per altro a caro la vita che per spenderla in vostro servigio; e quando per ogni minima occasione noi facessi, allor non sarei né gentiluomo né persona di onore.

Amasio. Di grazia, non mi ingiuriar piú di quello che ingiuriata m’hai: ché se a mio padre non fussero noti gli miei andamenti e la mia vita che gli facessero fede della mia innocenza, mi faresti impazzir da dovere.

Erasto. Giá mi avveggio che ridete e volete accettar la veritá. Cara mia moglie, non piú burle, non mi straziate piú di grazia: togliamoci ad un tratto la noia di aver piú a vivere di nascosto. Prometto servir vostro padre di modo che non si pentirá di avermi concessa voi per isposa.

Amasio. Io per me non so dove sia per riuscire questa cosa. Mira razza di uomo! dice che sia pregna di lui e vicina al parto, e non vede con gli occhi suoi che non sia vero.

Erasto. Voi vi sète fasciata di sotto cosí stretta per non parer pregna, onde dubito che siate per isconciarvi.

Amasio. Tu piú mi sconci con queste tue sconcie parole.