Pagina:Della Porta - Le commedie II.djvu/285

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atto quarto 273


Leccardo. e tu mi farai sverginar un legno che non ha fatto peccato ancora.

Martebellonio. Sei salito sul tetto ché non ti possa giungere: come ti arò in mano, te squarterò come una ricotta.

Leccardo. E tu sei posto in piazza per aver molte strade da scampare, ché dubbiti che non voglia spolverizzarti la schena.

Martebellonio. Se m’incappi nelle mani...

Leccardo. Se mi scappi dalle mani.

Martebellonio. ...ti sbodellerò!

Leccardo. Tu non sai sbudellar se non borse.

Martebellonio. Ah, poltronaccio, ti farò conoscer chi son io!

Leccardo. Ti conosco molto tempo fa, che fosti facchino, aiutante del boia, birro, sensale, ruffiano.

Martebellonio. Ah, mondo traditore, ciel torchino, stelle nemiche! fai del bravo perché non posso salir su dove sei.

Leccardo. E tu fai del bravo perché non posso calar giú dove tu sei.

Martebellonio. Cala qua giú e pigliati cinquanta scudi.

Leccardo. Sali qua tu e pigliatene cento.

Martebellonio. Cala qua giú, traditore, e pigliati mille scudi.

Leccardo. Sali qua tu, forfante, e pigliatene dumila.

Martebellonio. O Dio, che tutto mi rodo per aver in man quel traditore!

Leccardo. O Dio, che tutto ardo per non poter castigar un matto!

Martebellonio. Con un salto verrò dove tu sei, se ben la casa fusse piú alta di Mongibello.

Leccardo. Con un salto calarò giú, se la casa fusse piú alta della torre di Babilonia.

Martebellonio. Tu sai che ti feci e che ti ho fatto e che ti soglio fare, né cesserò di far finché non t’abbi fatto e disfatto a mio modo.

Leccardo. Non potendo far altro tirerò una pietra dove sei: ti vo’ acciaccare i pidocchi su la testa.

Martebellonio. O Dio, che montagna è questa!