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274 gli duoi fratelli rivali


Leccardo. È la montagna di Mauritania, che è caduta dal cielo, che ti manda Marte tuo padre, messer Cacamerdonio.

Martebellonio. (Questo incontro alle genti di Marte! San Stefano, scampami!). Mi partirò, t’incontrerò e ti gastigherò all’ordinario come soglio.

Leccardo. Ed io con bastonate estraordinarie come soglio.

Martebellonio. (In somma bisogna l’uomo serbar la sua dignitá! che onor posso guadagnar con costui? Alla smenticata e alla muta, incontrandolo al buio, li darò la penitenza delle parole e della burla che m’ha fatto).

Leccardo, (Io ho avuto a crepar della risa della battaglia fatta all’oscuro con Chiaretta! Vo’ andar a raccontarla a don Flaminio; ma andrò prima a casa a veder che si faccia).

SCENA IV.

Don Flaminio, Panimbolo.

Don Flaminio. Finalmente è pur stato vinto colui che era cosí malagevole a vincere, e preso chi pensava prender altri. Il volpone è caduto nella trappola e poco l’ha giovato la sua astuzia, ché ha trovato chi ha saputo piú di lui.

Panimbolo. Or drizzisi un trofeo all’inganno, un mausoleo alla fraude, un arco trionfale alla bugia, un colosso alla falsitá, poiché per lor mezo avete conseguito il sommo de’ desidèri.

Don Flaminio. Petto mio, se ben per l’addietro sei stato bersaglio di tanti affanni, ricetto di tante pene, respira e scaccia da te tanta amaritudine. Or andiamo a tôr il possesso di Carizia, non temiamo piú il fratello. Gran maraviglia ch’essendo gionto a quel segno ove solo aspirava il cor mio, non sento quell’allegrezza che devrei; né ho passata notte piú fastidiosa da che nacqui. Avendo gli occhi rivolti alle prime passioni, non l’ho mai chiusi né verso l’alba riposai molto: sogni, ombre, larve e turbolenze m’avean inquietato l’animo, e tutti i sogni son stati travagli di Carizia. Mi destava per non conportargli, e pur dormendo sognava travagli. Veramente i travagli son ladri del sonno.