Pagina:Della condizione giuridica della donna.djvu/202

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196 DELLA CONDIZIONE GIURIDICA

dedicarsi intieramente ad un'altra professione, le è cosa impossibile moralmente e fisicamente1. Né, soggiunge il Sybel2, vi può essere madre compresa della sua missione, la quale ne disconosca l'altezza e la difficoltà3; il marito stesso nella sua propria sfera d'azione non sale a maggiore altezza di quella della moglie; imperocché ciò ch'egli fa, lo fa anzitutto per la moglie, né quindi conosce altra autorità maggiore di quella dei desiderii e delle opinioni di lei4. Che se in caso di differenza d'opinioni quella del marito prevale, questa è, al dire del Sybel, naturale e logica conseguenza dell'avere anche il marito una maggior parte di responsabilità, essendo ufficio suo il curare che alla famiglia nulla manchi di quanto le è necessario o le conviene5.

Benché il Sybel opini che la donna dedita alla sua naturale missione di madre e di educatrice, non possa dedicarsi con tanta intensità ad occupazioni di altro genere, da potere eguagliar l'uomo, non ostante egli è favorevole al maggior possibile allargamento del campo della femminile attività. Se non che il possibile in questa materia vuoisi a suo parere determinare con riguardo alle caratteristiche attitudini dei due sessi. L'uomo, egli dice, destinato alle lotte della vita esteriore, è per natura logico e dialettico, la donna invece, fatta per la vita domestica, comprende ed opera col discernimento del suo interno e complessivo sentire6. Epperò quanto più una data professione esige l'esercizio del raziocinio, anziché di inconsapevole sentimento, tanto meno ella si attaglia al femminile ingegno7. Per tal motivo appunto le donne seppero molte volte esercitare con onore il principato, ufficio che in sommo grado richiede quella cognizione dell'umana natura, in cui le

  1. Ib., p. 68.
  2. Ib.
  3. Ib., p. 68.
  4. Ib., p. 69.
  5. Ib.
  6. Ib., p. 71.
  7. Ib., p. 72.