Pagina:Della consolazione della filosofia.djvu/20

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alla nostra innocenza, tu te ’l vedi, posciachè in vece di ricevere i premii della vera virtù, sosteniamo le pene del peccato falso. Qual fu mai sì grande scelerità e sì manifestamente confessata, la quale avesse i giudici tanto concordevolmente severi tutti, che alcuno di loro non piegasse in qualche parte; rendesse pietoso o la fragilità dell’ingegno e natura umana inchinevole ad ogni errore, o la condizione e incertezza della fortuna de’ mortali, non sapendo nessuno quello che a lui stesso o debba o possa avvenire? Se io avessi empiamente voluto ardere i tempii sacri, se sceleratamente scannare i preti, se ammazzare crudelmente tutti i buoni, non perciò avrebbero nè sentenziarmi potuto, nè punirmi ragionevolmente, se prima non m’avessero citato, poi udito, e finalmente convinto; dove ora, essendo io lontano quasi cinquecento miglia, sono, senza essermi potuto difendere, stato bandito e condannato alla morte dal senato per lo avere io favorito sempre quell’ordine e desiderato la sua salvezza. Oh uomini degni veramente che niuno possa mai più essere per l’innanzi di simile colpa convinto, la cui grandezza e dignità conobbero ancora quegli che di lei m’accusarono, onde per offuscarla col mischiamento di alcuna scelerità mentirono che io aveva per cupidigia di grandezza bruttato la coscienza mia, sacrificando a’ dimonii! E pure è vero che tu, standomi nel petto sempre, scacciavi del mezzo del mio animo ogni desiderio di mortal cosa; per non dir nulla, che sotto gli occhi tuoi non era nè lecito nè possibile che si commettesse sacrilegio così grande, non passando mai