Pagina:Della consolazione della filosofia.djvu/85

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lo conduce al falso e all'imperfetto. Giudichi tu che quello, il quale non abbisogna di cosa nessuna, abbia bisogno di potenza? Non io, risposi. Ben hai risposto, disse ella; perchè, se cosa alcuna è, la quale in alcuna parte sia di piccola e debolissima possa, egli è necessario che ella abbia in quella cotal parte bisogno dell'ajuto altrui. Così è, risposi. Dunque, disse ella, la sufficienza e la potenza sono d'una natura medesima? Così pare, dissi io. Ed ella: Una cosa che sia così fatta, párti che debba essere dispregiata? o più tosto meriti che ciascuno l'onori sovra ogni cosa? E di questo anco, soggiunsi, non si può dubitare. Aggiugniamo dunque, riprese ella, alla sufficienza e alla potenza la riverenza, di maniera che giudichiamo tutte e tre queste cose essere una sola. Aggiungiamovela, perchè a me piace di confessare il vero. Or tu, disse ella, pensi che cotal cosa sia oscura e ignobile, o pur d'ogni gloria e nominanza chiarissima? Ma considera che egli non paja che quello, che si è conceduto non aver bisogno di nulla ed esser potentissimo ed esser degnissimo d'onore, manchi di chiarezza, e così non possa farsi illustre per sè medesimo, onde venga in alcuna parte ad essere vile e dispregievole. Non posso, risposi, non confessare che quello, sì come è, non sia celebratissimo e ripieno d'ogni gloria. Séguita dunque, disse ella, che noi confessiamo che la gloria o chiarezza non è differente in nulla dalle tre cose dette di sopra. Seguitane, dissi. Or non è manifesto, ripigliò ella, che quello che non ha bisogno di nulla, quello che può tutto colle sue forze, quello che è glorioso e reverendo, essere anco-