Pagina:Della fortuna di Dante nel secolo XVI Barbi, 1890.djvu/16

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— 2 questa alimentarla continuamente e afforzarla (^). Perciò mentre da una parte scriveva: " Non Sia alcuno cha creda non solamente essere eloquente, ma pure tollerabile dicitore nella nostra lingua, se prima non ha vera e perfetta cognizione delle latine lettere „ {^), e leggeva nello studio fiorentino Virgilio e Orazio; dall’altra richiamava i concittadini al culto del volgare del trecento e commentava il Petrarca e Dante. Il quale volgare pel primato civile e letterario che aveva la Toscana sul resto d’Italia, non tardò ad estendersi alle altre provincie della penisola, e per opera principalmente di un veneto, che gli stessi fiorentini del suo secolo onorarono del nome di amorevole baliO; anzi di secondo padre della lingua nostra, divenne nazionale quella letteratura che fino allora era stata propria di una sola regione. Coli’ estendersi della lingua toscana diffondevasi la «gloria di Dante: la stampa di recente troata lutava potentem’ente’questa diffusione. Quindici edizioni, se non più, si ebbero delI* opera maggiore di Dante nei soli ultimi ventotto anni del secolo XV; quaranta nel cinquecento delle quali trentaquattro accertate: dell’opere minori non una fu trascurata, che anzi del Convivio e delle Rime si ebbe più di una stampa. I letterati più insigni si (*) Landino, Orazione quando cominciò a leggere in Studio i Sonetti del Petrarca in Miscellanea di cose inedite o rare per Francesco Corazsini; Firenze, Baracchi, 1853. Carducci, Delle Poesie toscane di Mescer Angiolo Poliziano: discorso premesso a Le Stanze, l’Orfeo e le Rime.; Firenze, Barbèra, 1863; p. XVIII. (’) Commento alla D. C a e. 8 dell’ediz. fiorentina del 1481.