Pagina:Della fortuna di Dante nel secolo XVI Barbi, 1890.djvu/38

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- 24 — difetti che alcuno avesse trovato nella Commedia, al giudizio dei fiorentini, il non aver potuto Dante vedere la Poetica d’Aristotile e conoscere le lettere greche, e T aver trovato la lingua cosi rozza e povera, da parer magnanimo ardimento accingersi con essa a descrivere tutto l’universo. Di qui s’inspirarono le difese che i fiorentini fecero del loro concittadino in libri e pubblicamente in lezioni fatte nell’Accademia Grande. Nella quale il divino poeta era celebrato ed onorato sopra d’ogni altro, parendo che cosi meritasse " la sua virtù e la gloria „ che egli aveva guadagnata a Firenze " non solo in Toscana ed in tutta Italia, ma dovunque il divinissimo suo poema, se non in tutto, almanco in parte „ veniva conosciuto {}). VI. Uno dei primi difensori di Dante dalle accuse del Bembo e de’ suoi seguaci appare essere stato Girolamo Benivieni per quel Discorso sulla Commedia rimasto fino ad oggi inedito, che, sebbene a ragione non si creda, come avvertinìrao, sua dettatura, pur meriterebbe di essere integralmente pubblicato, perché è singolare testimonianza della stima che dai seguaci del Savonarola si ebbe del poema di Dante. Al Benivieni pare che l’Alighieri, liberatosi dalla rozzezza del secolo per la forza dell’ingegno e per lo studio di Virgilio, osservasse gli ammaestramenti poetici, accoppiando no(*) Lenzoni, op. cit., p. 73.