Pagina:Della geografia di Strabone libri XVII volume 2.djvu/47

Da Wikisource.

libro primo 35

colui che attribuisse all’Iresione1 attica le mele e le pere ch’essa non può produrre. Fino a tal punto dunque può dirsi che tu parli dirittamente, o Eratostene; ma non così allorchè, togliendo al poeta quella tanta varietà di dottrina, mantieni che l’arte poetica consista in non so quale racconto di favole a modo che fanno le vecchierelle, e che a lei sia conceduta licenza d’inventare tutto ciò che le pare acconcio a produrre diletto. Dunque non gioverà nè eziandio agli uditori dei poeti, se questi saranno pratici di molti luoghi, o della milizia, agricoltura e rettorica, le quali, com’è naturale, s’imparano a forza di udire2? Il fatto si è che Omero attribuisce tutte coteste cose ad Ulisse, cui egli fra tutti gli eroi adorna di ogni virtù, dicendo:

                             Che città vide molte, e delle genti
                             L’indol conobbe . . . . . .3.

Egli è:

                             . . . . . . uom che ripieno
                             Di molti ingegni ha il capo e di consigli4.

  1. Iresione. V. Plutarco nella vita di Teseo.
  2. V’erano presso i Greci certe scuole pubbliche, nelle quali alcuni professori particolarmente consacrati a questa maniera d’insegnamento, attendevano a spiegare le opere dei poeti, ed a farne sentire le bellezze od il merito. Gli scolari di tutte le età che intervenivano a questa specie di corsi si chiamavano uditori (ἀκροάται): e questa maniera d’istruirsi e di studiare i buoni autori chiamavasi ἀκρόασις che i Latini traducono auditio, e noi potremmo volgere in ascoltamento.
  3. Odiss., lib. i, 3.
  4. Iliad., lib. iii, 202; lib. ii, 278; lib. x, 246.