Pagina:Delle Donne - Burocrazia e fisco a Napoli, 2012.djvu/31

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Introduzione

Come il nostro manoscritto sia giunto al Calefati, e poi da questi al Capasso, è possibile ricostruire solo in via ipotetica. Un indizio è offerto dal Capasso stesso che scrive di possedere un’edizione del 1513 del De clausulis di Vitale de Cabanis, glossata dal Calefati, e già «in potere del marchese Arditi, notissimo letterato ed archeologo», prima di divenire di sua proprietà1 . Nella glossa al De clausulis, riportata dal Capasso, il Calefati afferma inoltre di aver ricevuto quest’opera «a meo atavo Michaele Kalaephato» 12; il volume fu quindi tramandato, da antichissima data, per più generazioni all’interno della famiglia Calefati. Le vicende di quest’opera, anch’essa di argomento giuridico, indurrebbero a ipotizzare una sorte analoga anche per il Repertorium e che esso possa essere pervenuto ad Alessandro Maria Calefati dal suo avo Michele; da Alessandro Maria potrebbe poi esser passato al marchese Arditi e al Capasso. Tuttavia non si può neppure escludere che il manoscritto sia arrivato al Capasso direttamente da Sebastiano Kalefati, il dotto archivista cassinese cui il Capasso era legato da vincoli di amicizia e dall’affannosa ricerca di sempre nuove fonti, soprattutto giuridiche e legislative 132.

A illuminare le origini del Repertorium contribuisce invece un’indicazione riportata da Niccolò Toppi nella sua Biblioteca Napoletana. Questi infatti ci dice che Pietro Nasturzio, procuratore fiscale della Regia Camera,

«per la prattica teneva delle mani antiche, e scritture di diversi Idiomi, fu eletto in veder, et osservare molti libri del regio, e grande Archivio, sopra de’ quali al numero di mille duecento, intitolati Exequtorialium, Curie, Communi, et Partium, ne fe’ nel 1543 un Reassunto assai singolare, chiamandolo Repertorio, ove si contenevano tutti li Decreti generali del Tribunale, molti casi esemplari decisi, con varii privilegii di diverse Città,»
  1. Capasso, Un diploma. Il riferimento è a Michele Arditi, nato a Presicce (Lecce) il 12 settembre 1746 e morto a Napoli il 23 aprile 1838. Allievo di Antonio Genovesi, si interessò soprattutto di diritto nobiliare e feudale e fu avvocato di chiara fama. Coltivò interessi eruditi ed archeologici; dal 1787 fu Membro dell’Accademia Ercolanense, dal 1790 dell’Accademia di Scienze e Belle Arti e della Giunta di Antichità. Cfr. DBI, p. 38 sg., ad vocem; nonché Rizzo, Settecento, pp. 78-84. Fu tra gli avvocati impegnati nella devoluzione di Arnone; cfr. Rao, L’amaro, pp. 12
  2. Si veda il loro epistolario: Avagliano, Le lettere.

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