Pagina:Delle cinque piaghe della Santa Chiesa (Rosmini).djvu/25

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onoratamente dispensati. Intanto la scienza della religione, che que’ giovinetti maestri ebbero ricevuta nel Seminario, spezzata in parti, o più veramente ristretta a quelle parti che parvero le più necessarie a poter disbrigare tosto o materialmente gli uffici ecclesiastici che il popolo e il governo esige da’ preti per ragion di giustizia; questa grande scienza, dico, non ha acquistato nell’animo del giovine prete nè radice, nè unità; non è penetrata nè punto nè poco fino all’animo suo; privo egli del sentimento della scienza: privo della vera intelligenza di lei; egli la porta attaccata, e per così dire pendente alla giovanile memoria, ed è per questa memoria appunto ch’egli si crede più atto di un savio provetto all’ufficio di precettore. Ma che? Uomini di memoria, si vogliono? tali riusciranno gli allievi. Ben altro che un parlare alle memorie, era quel modo d’instruire, che riferisce Clemente di Alessandria usato dal suo maestro, cui egli chiama «un’ape siciliana, che suggeva i fiori de’ profetici ed apostolici prati, al fine di fabbricare dentro agli animi di coloro che lo udivano, il miele di una sincera ed incorrotta cognizione1.» Finalmente, in tempi, ne’ quali la grossezza della pensione annessa agli ufficî è assai sicuro indizio da giudicare dell’abilità degli uomini che vi sono applicati; non hassi fortemente a dubitare del gran sapere de’ maestri de’ nostri seminarî, al cui incarico è annesso sì scarso provento, che molte volte lor pare di toccare il cielo col dito quel dì che uscendo di seminario giungono sopra un benefizio parrocchiale, al quale, anzichè alla cattedra, ebbero, come a termine fisso de’ loro voti, sempre l’animo inteso2?

34. Or se a così piccoli uomini si affida l’ammaestramento del Clero, non è maraviglia che questi, rimossi gli scritti de’ Santi e de’ sapienti, adoperino a testo di loro lezioni de’ piccoli libri, concinnati, come dicono ne’ frontespizî, in uso della gioventù, da testicciuole loro pari. Imperocchè tutto vuole essere proporzionato, tutto si chiama; e un difetto ne produce un altro: e cotesta magrezza e vanezza de’ libri usati nelle scuole, e appunto la terza cagione dell’insufficienza di loro educazione.

35. V’hanno due maniere di libri. Alcuni sono libri classici, solenni, che contengono la sapienza del genere umano, scritti da’ rappresentanti di questa sapienza: libri dove non è nulla d’arbitrario e di sterile, nè nel metodo, nè nello stile, nè nella dottrina: dove non sono registrati solamente de’ veri particolari, in una parola, dell’erudizione; ma sono date le universali verità, le dottrine feconde, salutari, dove l’umanità ha trasfuso sè stessa co’ suoi sentimenti, co’ suoi bisogni, colle sue speranze. Vi sono all’incontro degli altri libri minuti parziali, opere individuali, dove tutto è povero, freddo; dove l’immensa verità non comparisce che minuzzata, e in quella forma, in che una menticina l’ha potuta abbracciare; e dove all’autore spossato nella fatica del partorirla, non è restato vigore d’imprimere al libro altro sentimento che quello del suo travaglio, altra vita che quella di uno che sviene; libri, a che il gene-

  1. Strom. L. I. Secondo l’opinione di Eusebio (Hist. L. V, c. II.), il maestro, di cui qui parla Clemente, è S. Panteno, che presiedette alla celebre scuola di Alessandria.
  2. Il bisogno de’ nostri tempi esige, che gli stipendî de’ maestri seminariali eqivalgano almeno al provento delle più pingui parocchie; e che i maestri non si rimovano dalla cattedra se non promovendoli a qualche canonicato o dignità capitolare, o anche all’episcopato. Nella celebre scuola d’Alessandria, S. Dionigi, S. Eracleo, e il grande S. Achilla passarono tutti e tre l’un dopo l’altro da quella cattedra sulla sede vescovile di quella città, che era la seconda dopo Roma. Allora si aveva recente negli orecchi e nell’animo la parola dell’Apostolo che raccomandava a Timoteo di trovare «uomini idonei ad insegnare altrui» la grande dottrina evangelica. Questi uomini li caratterizza l’Apostolo coll’epiteto di «fedeli,» e vuole che Timoteo non solo dia loro la dottrina che aveva ricevuta da lui, ma «loro la commendi;» et quae audisti a me per multos testes, haec commenda fidelibus hominibus qui idonei erunt et alios docere. II Timoth. ii, 2.

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