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Pagina:Delle cinque piaghe della Santa Chiesa (Rosmini).djvu/86

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gione è manifesta: il Papa non aveva punto intimato guerra al re, che amava con affetto paterno, e molto meno sua corona, e a nessuno de’ suoi diritti; che alcuno non ha mai voluto usurpargliene; ma la guerra il Papa l’avea intimata contro il Clero simoniaco e dissoluto: credendosi obbligato in coscienza di sterminare, anche a costo del proprio sangue, questi vizi oggimai tanto cresciuti, che avrebbero sterminata essi la Chiesa, se fossero stati più a lungo risparmiati1.

Intimoriti pertanto dalla integrità e santità di quest’uomo sollevato da Dio alla Cattedra apostolica per francheggiare il popolo d’Israello come un altro Sansone, tutti i chierici dissoluti, e quanti avevano comperato a sommo prezzo da Enrico i Vescovati, potenti per Signorie e per influenza nel governo dello Stato, si sollevarono di comune accordo, si strinsero in una lega formidabile per l’odio della virtù, la più potente delle passioni, usarono tutte le arti che può suggerire una malizia la più consumata2, e per segno di riunione diedero il grido a dover tutti difendere i sacri diritti del proprio sovrano.» Ma che dritto del proprio Sovrano pretendevano difendere questi Vescovi? Forse quello di essere simoniaco, e protettore impudente del concubinato del clero? Perocchè qual altro diritto del re Enrico veniva attaccato? Ebbe mai Gregorio vii intavolato la minima pretesa sopra qualche altro diritto del suo regno? Dimandò altro, se non che cessasse dal mercanteggiare le sedi vescovili, e dal prostituirle a persone infami? Fu certamente per cessare la totale e imminente rovina della Chiesa, che, non valendo gli altri mezzi, e rendendosi l’imperatore, sedotto appunto dalle perfide suggestioni de’ prelati suoi compagni di dissolutezza, sempre peggiore, egli lo scomunicò.

Ma non solo il Clero corrotto trascinò Enrico nel fondo di tanti mali3,

  1. Ecco come un Ugone Flaviniacense espose la vera cagione della così detta lotta fra il Sacerdozio e l’impero: ob hanc igitur causam, quia scilicet sanctam Dei Ecclesiam castam esse volebat (Gregorius), liberam, atque catholicam; quia de sanctuario Dei simoniacam, et Neophytorum haeresim, et faedam libidinosae contagionis pollutionem volebat expellere; membra diaboli caeperunt in eum insurgere, et usque ad sanguinem praesumpserunt in eum manus injicere, et ut eum morte vel exilio confunderent, multis cum modis conati sunt dejicere. Sic surrexit inter regnum et Sacerdotium, contentio, accrevit solito gravior sanctae Dei Ecclesiae tribulatio (In Chron Virdunensi). Si vegga nel Fleury l’articolo intitolato: «Ribellione de’ Cherici concubinarî» Lib. lxii, xii. Tutti i Vescovi che erano dalla parte dell’Imperatore e ne sommovevano l’animo contro gli avvisi del Papa, erano scomunicati già prima per simonia, per eresia, per iscostumatezze, e per altre scelleraggini d’ogni guisa: erano quelli a cui Enrico stesso avea venduto i benefizî ecclesiastici, che petto non facea bisogno in un Papa che avea da governare la Chiesa con un tal Clero, e che ardiva intraprenderne la riforma! ed essendo le potestà del secolo avvolte negli stessi vizî, e maneggiate dalla parte di esso Clero la più corrotta!
  2. Non pure la brutale violenza, ma l’arte della calunnia; del sofisma, e di ogni genere di fina menzogna fu esaurita contro Gregorio vii dai Cherici, le cui ribalderie egli voleva correggere, e che stavano intorno a Enrico vestiti da suoi fautori, consiglieri, e ministri. L’arcivescovo di Ravenna Guiberto che fu poi anti-papa, non avea ommesso di falsificare il decreto di Nicolò ii, e facendolo girare attorno, voleva far credere che l’elezione dei Papi era stata rimessa al tutto nelle mani dell’imperatore, e con simiglianti finzioni s’ingannò gran gente, si confuse la questione, si protrasse il desiderio, ed ecco i veri autori dei torbidi!
  3. Fino dalla prima gioventù prevalsero presso Enrico i cherici più scostumati e dovettero da lui ritirarsi un S. Annone ed altri uomini probi, perchè non adulatori e fautori delle sue male tendenze. Brunone nella Storia della guerra Sassone attribuisce l’essersi dato giù Enrico nel fondo di tutt’i vizî più infami, alla famigliarità sua col Vescovo di Brema Adalberto: Hoc igitur, dice, Episcopi non episcopali doctrina, rex in nequitia confortatus ivit per libidinum praecipitia siciit equus et mulus, et qui multorum rex erat populorum, thronum posuit in se libidini cunctorum reginae vitiorum etc. Enrico stesso in un momento di ravvedimento vero o finto, scrivendo a Gregorio la confessione dei suoi falli, ne accagiona in parte i suoi tristi consiglieri: Heu criminosi