Pagina:Delle istorie di Erodoto (Tomo III).djvu/46

Da Wikisource.

- 34 -


oscuranti, ma un perfetto sereno. Onde nel più bello del giorno si fece notte. Il qual fatto veduto e considerato da Serse, gli entrò nell’animo un’ansia ed un sospetto grandissimo: onde volle interrogare subito i Magi intorno al vero significato di quel portento. E i Magi risposero: che esso prediceva agli Elleni la distruzione delle loro città, perchè (soggiungevano) il sole è il nunzio del futuro agli Elleni; e ai Persiani invece, la luna. Delle quali parole essendo rimasto lietissimo il cuore di Serse, egli spingeva innanzi la marcia delle sue genti.

38. E già le schiere persiane mettevansi in movimento, quando Pitio, il Lido, coll’animo commosso dal portento celeste, ed esaltato dai doni, essendo stato introdotto al cospetto di Serse, gli parlò in questa guisa: Io vorrei, o Signore, chiederti una grazia che a te costerebbe poco il concedermi, e sarebbe invece un gran fatto per me di ottenerla. E Serse pensando che si trattasse di tutt’altra cosa da quel che era, gli promise di soddisfarlo incuorandolo a esporre liberamente il suo desiderio. E l’altro allora, presa baldanza da sì fatte parole, tostamente soggiunse: Signor mio, io ho cinque figlioli, ai quali tutti toccò in sorte di seguitarti in questa spedizione di Grecia: ma tu, o re, avendo compassione alla mia tarda età, proscioglimene almeno uno dall’obbligo della milizia, e sia il maggiore; affinchè egli possa aver cura di me e de’ miei beni. Gli altri quattro conducili pur con teco; e, compiute le tue grandi imprese, possa tu tornare felicemente a casa.

39. Ma Serse si sdegnò fieramente a queste parole, e incollerito rispose: O perfido, mentre io stesso mi movo