Pagina:Delle notti di Young traduzione di Giuseppe Bottoni e del Giudizio universale dello stesso Young.djvu/194

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168 DUODECIMA.

Sì gran tempo arrestò quest’alma, a volo
Per l’eterea region mi spinsi, al vago
Seggio degli astri io m* appressai; già reso
520Vincitor d’ogni pena, e quasi adorno
Dell’immortalità’, schiusi a’ viventi
D’interminabil gloria aurate porte,
E /eci loro a quel soggiorno augusto
D’ogni felicità fervido invito,
525Sento eh ogni valor già m’abbandona,
E dal polo in un mar d* affanni e pianto
In un istante a ricadere io torno:
Ma benché al dorso io porti icarie penne,
Cado in quel mar senza restarvi assorto.
530Quanto infelice è Tuoni, che mai dal ciglio
Versò tenero pianto! Ed io nel duolo,
Nelle lagrime mie ricca ritrovo
Lucidissima gemma. Io non somiglio
Colui, che stolto del suo crudo affanno
535Tutto sorbisce il mal, nè trarne ci vuole
i. Quel vantaggio, che è pur prezioso, e grande.
Inutile si rende il suo tormento,
E invan la sorte i colpi suoi raddoppia,
Se nel soffrirli ei non divien più saggio


II Fine della prima Parie,