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che aveva la presidenza, lo invitò a sedergli vicino e fu salutato con vivi applausi.

Il Ministro delle finanze Guiccioli emise la sua rinunzia. Il deputato Politi dimandò al Guiccioli che avesse reso ragione dei motivi che lo avevano indotto a tale rinunzia.

Guiccioli salì la tribuna, incominciò colle parole: L’altro giorno accusato1....; ma, sorpreso da una forte commozione, rimase interdetto e cadde in un quasi svenimento prorompendo in dirotto pianto.

L’Assemblea ed il popolo, per fargli animo, lo applaudirono e quella progettò di pregarlo a ritenere il portafoglio2. Egli però non accettò.

Bonaparte, quindi, accusò il Comitato esecutivo di inazione ed insufficienza e dichiarò essersi pentito d’avergli dato il voto.

Quindi, per la sollecita fusione della Toscana con la Repubblica Romana, si decretò d’inviare colà tre commissarii per invitare i rappresentanti della

  1. Ecco quale fu la cagione della rinuncia. Con decreto del 21 di febbraio, la Banca Romana, come già fu narrato, ebbe facoltà di emettere buoni per la somma di un milione c trecento mila scudi, dei quali erano destinati novecento mila al Governo c quattrocento mila al commercio di Roma, Bologna ed Ancona. Il giorno 4 di marzo giunsero reclami perchè il Decreto non era stato eseguito, e fu accusato il Guiccioli di non aver sorvegliata la Banca, specialmente perchè venisse in aiuto del commercio di quelle città.
  2. I deputati gridarono: «Accusato no, coraggio, coraggio...» Il Galletti salì la tribuna e lo difese con molto calore. Ma, perchè il Guiccioli desiderava allontanarsi da Roma, fu mandato inviato straordinario della Repubblica Romana presso quella di Venezia.