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Pagina:Dieci lettere di Publio Virgilio Marone.djvu/13

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6 Lettera Seconda


L E T T E R A   S E C O N D A

Alli Legislatori della nuova Arcadia, P. Virgilio, Salute.


Un’anima delle più temerarie, che mai poeta, o verseggiatore ispirasse, scese l’altr’jeri tra noi. Superba d’avere animato un corpo napoletano, e d’aver professate ad un tempo l’arte poetica, e la militare pretendeva le prime sedie tra i Capitani, e tra i Poeti. La derisero com’era giusto, e gli uni, e gli altri. Ma noi, che per indole siamo più pazienti, e per professione più mansueti, l’invitammo a sedere con noi sull’erba, e farci udire que’ sì bei versi ch’ella vantava. Ma guardandoci bieco, rispose non esser noi degni di tal Poesia, che tutta era Dantesca, né degni di star con Dante, il sol Poeta veramente divino, anzi il Dio de’ Poeti. Così dicendo volse a tutti le spalle, e andò chiamando per mezzo la selva Achille a duello, ed Alessandro.

Noi udito avevamo altre volte il nome di Dante, e parlato con lui eziandio. Ma com’egli per genio è taciturno, e di linguaggio per noi non intelligibile, mai non c’era avvenuto di ben conoscerlo. A soddisfare pertanto la nostra curiosità si cercò del suo libro, e trovossi in mano d’un accigliato, e solitario Geometra, che il leggeva a vicenda con Pappo Alessandrino, e protestava di non gustare altro poeta fuori di questo, in cui trovava lo stesso diletto che negli angoli, e ne’