Pagina:Diodati - I Salmi di David, Daelli, 1864.djvu/49

Da Wikisource.

salmo xviii. 29

     E che per balzi isnello poggio e varco,
     U’ ferma il piè ne l’erta mia fortezza.
     Esso m’addestra a le battaglie, e d’arco
     D’accial col braccio spezzo la durezza.
     M’è scudo di salute e d’ogni incarco
     M’alleggia, e con la man m’erge e sostiene:
     E sua bontà mi colma ognor di bene.
13          Tu mi distrighi e sotto allarghi i passi,
     Nè stanco vacillar sento ’l tallone.
     I’ do la caccia a’ miei nemici lassi:
     Gli aggiungo, nè a raccolta avvien che suone,
     Che rotti infin e morti non gli lassi.
     Sì gli conquisi a la final tenzone,
     Ch’atterrati mi son a piè caduti,
     Nè rilevar unque si son potuti.
14          Però ch’al guerreggiar mi cingi il lato
     D’alto valor e di prodezza invitta.
     Per te lo stuolo che m’assal prostrato,
     Sotto me piega la sua possa afflitta.
     Tu de’ nemici m’hai la coppa dato
     A ferir sì, che l’oste n’ho sconfitta.
     Ansiosi gridar, nè scampo venne:
     Anch’al Signor, ma nulla il grido ottenne.
15          Parte qual polve, fin a’ stremi liti
     Del mondo gli ho dispersi: e parte, in guisa
     Del fango per le vie, calcati e triti.
     Dal fremente furor de la divisa
     Turba mi salvi e sediziose liti.
     Per te la mia persona, in capo assisa
     De le genti, le men note corregge,
     Sì che da’ cenni miei prendon la legge.
16          Con infinti sembianti e corta fede,
     Domi da me, gli strani s’arrendero.
     Il lor disciolto cor spavento fiede,
     Fin entro ’l lor ripar e chiostro altero.
     Viva ’l Signor, la Rocca, ove risiede