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tima vostra aspettazione; ma d’altra parte mi rassicura la cortese benevolenza degli animi vostri, o Signori; ché bene v’immaginerete non essere certamente per mia colpa o per imperdonabile presunzione ch’io mi trovo adesso costretto a raccomandarmi alla somma vostra benignità.

Se noi gettiamo uno sguardo nella storia, le nazioni dei secoli passati ci appajono povere e infelici, assai più povere e più infelici di quelle che ci stanno adesso innanzi agli occhi, e che tuttavia ci commovono a così profonda compassione. Non è sicuramente in Italia, nel paese di Genova e Venezia, le grandi città mercantili, nel paese di Firenze e Milano, le città famose per industria agricola e manifatturiera, nel paese insomma delle cento Repubbliche rivali ma splendide che illustrarono il medio-evo, non è dico in Italia né a bocca italiana che sarà concesso di lodare il presente a spese del passato; ma in tutto il resto d’Europa se noi alziamo un lembo del manto funerario che copre le defunte generazioni; che squallore, che orribile squallore non ci offende la vista! Un’agricoltura, priva di capitali, digiuna di nozioni scientifiche, senza marnature e senza irrigazioni, in mezzo a paludi e a boschi che coprivano la faccia del suolo, dava poche e miserabili derrate in compenso di lunghi sudori: o se la straordinaria fecondità naturale della terra dava abbondanti e spontanei prodotti ai felici abitatori di poche plaghe privilegiate, la mancanza di strade e canali, che è quanto dire d’ogni possibilità di considerevoli trasporti, faceva sì che l’abbondanza d’un luogo non potesse punto sopperire alla dolorosa deficienza degli altri. Di qui le orribili e frequenti carestie che funestano ad ogni tratto le cronache degli avi nostri, mentre oggidì malgrado tanto aumento di popolazione si fanno sempre più rare e difficili nella civile Europa, e appena una lagrimevole traccia ancor ne rimane in quella povera, e non mai abbastanza compianta isola d’Irlanda.

Una manifattura casalinga e femminile, senza macchine,