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e la folla assembrata negli aperti campi o nei pubblici edifizii traggono nei loro concetti, chiamandola a palpitare del loro palpito, a fremere del loro fremito, a vivere della propria loro vita.
Ed a voi, o Signori, ricorre spontaneo al labbro il nome venerando di Daniele O’Connell e quello di Riccardo Cobden; uomini che colle leve delle politiche associazioni operarono quei grandi rivolgimenti che segnano un’epoca nella storia della nazioni. Rammentate voi le innumerevoli turbe che sui colli della verde Erina affamate, cenciose, conculcate, prive persino della facoltà d’invocare liberamente Iddio con quella religione che avevano dai padri redata, domandavano al loro profeta il ristauro dei loro più sacri diritti? Ricordate voi Riccardo Cobden il quale colla lega per i cereali diede forse il più vivo colpo alla britanna aristocrazia che tra poco vedrà crollare il putrido suo edifizio, se pure il dito di Dio non si ritorce dalla faccia della terra?
Ed è questa una mirabile prerogativa del genio italiano, il quale nelle opere di civiltà, quantunque combattuto, avversato dai principi, combattuto, avversato dai governi, quando riprende il naturale suo slancio, raggiunge, direi, in un subito gli adulti suoi predecessori. E questa eletta, questa numerosa assemblea la quale afforza un pensiero che era nel cuore di tutti e col suo assenso dà efficacia alla novella maniera di farla trionfare, sarà per gli stranieri grande argomento di lode verso l’Italia.
Io vi ho ricordate le magnanime imprese di O’Connell e di Cobden; ma quelle a cui la Società federativa si accinge, di tanto prevale sopra le irlandesi e britanniche agitazioni, quanto sovra un provvedimento economico e sopra una politica guarentigia maggioreggia il fatto di una infelicissima nazione che vuole raccogliere in un solo corpo le sparse e divulse sue membra, stringere in un patto comune i destini delle diverse sue province, e in tal forma ricomposta ricuperare quell’indipendenza, quella signoria di se stessa, senza cui e libertà e permanenti istituzioni sono un vano nome, un’illusione funesta.