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e morti: il quale errore fece che loro medesimi non si salvarono, aspettando di ricombattere la mattina con tanto loro disavantaggio; e fecero anche errare, e per tale errore presso che rovinare, lo esercito del Papa e di Ispagna, il quale, in su la falsa nuova della vittoria, passò il Po, e, se procedeva troppo innanzi, restava prigione de’ Franciosi che erano vittoriosi.
Questo simile errore occorse ne’ campi romani e in quegli degli Equi. Dove, sendo Sempronio consolo con lo esercito allo incontro degl’inimici, ed appiccandosi la zuffa, si travagliò quella giornata infino a sera, con varia fortuna dell’uno e dell’altro: e venuta la notte, sendo l’uno e l’altro esercito mezzo rotto, non ritornò alcuno di loro ne’ suoi alloggiamenti; anzi ciascuno si ritrasse ne’ prossimi colli, dove credevano essere più sicuri; e lo esercito romano si divise in due parti: l’una ne andò col Console; l’altra, con uno Tempanio centurione, per la virtù del quale lo esercito romano quel giorno non era stato rotto interamente. Venuta la mattina, il Consolo romano, sanza intendere altro de’ nimici, si tirò verso Roma; il simile fece lo esercito degli Equi: perché ciascuno di questi credeva che il nimico avesse vinto, e però ciascuno si ritrasse sanza curare di lasciare i suoi alloggiamenti in preda. Accadde che Tempanio, ch’era con il resto dello esercito romano, ritirandosi ancora esso, intese, da certi feriti degli Equi, come i capitani loro s’erano partiti, ed avevano abbandonati gli alloggiamenti: donde che egli, in su