Pagina:Don Chisciotte (Gamba-Ambrosoli) Vol.1.djvu/232

Da Wikisource.
214 don chisciotte.

piattarsi tra quelle montagne. Volle dunque la fatalità che il timore e la ventura sua lo traessero a quel sito medesimo dove trovavansi don Chisciotte e Sancio in ora da poterli riconoscere, ma pensò di lasciarli dormire. Se non che i tristi sono sempre ingrati, e si abbandonano dove la necessità li conduce, e pensano al presente dimenticandosi dell’avvenire; e però Gines, briccone di pessime intenzioni, deliberò di rubar l’asino a Sancio Panza, non curandosi di Ronzinante avendolo per un mobile da non potersi nè impegnare nè vendere. Mentre Sancio stava immerso nel sonno egli ne menò dunque il giumento, e prima del giorno già era lontano per modo da non poter essere più raggiunto. Comparve l’aurora rallegrando la terra, ma recando a Sancio la più viva amarezza per la scoperta mancanza del suo asino; e trovandosene derubato, si mise a piangere sì dirottamente che svegliò don Chisciotte coi suoi singulti e con queste lamentevoli voci: — Ahi, figlio delle mie viscere, nato sotto il mio proprio tetto, delizia dei miei figliuoli, gioia di mia moglie, invidia dei miei vicini, sollievo delle mie afflizioni e sostegno della metà della mia persona, perchè con ventisei maravedis ch’io con te guadagnava ogni giorno facea metà delle spese per la mia famiglia!„.. Don Chisciotte che lo sentì a piangere, e poi ne conobbe la causa, consolò Sancio alla meglio che potè pregandolo di aver pazienza, e promettendogli di rilasciargli un viglietto con cui gli sarebbero dati tre asini dei cinque ch’egli aveva lasciati in casa sua. Si racconsolò allora Sancio, rasciugò le lagrime, finirono i singhiozzi, e gradì il bene che gli facea don Chisciotte; il quale non fu appena internato in quelle montagne, che già gli si era allargato il cuore, parendogli di essere