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capitolo xxxvii. | 413 |
lettere con quelle che sono proprie dell’uomo d’arme, e veggasi quali siano di maggior peso„.
A questa guisa e con tanto sodo ragionare andava proseguendo don Chisciotte il discorso in modo che condusse gli astanti a non considerarlo più come pazzo: anzi perchè i più erano cavalieri, ai quali sono predilette le armi, lo ascoltavano assai volentieri; ed egli proseguì in questa maniera: “Dico ora dunque che gli esercizii corporali del letterato sono questi: principalmente la povertà, non già perchè tutti sono poveri, ma per supporre il peggio di siffatta condizione. E dicendo povertà, sembrami che non si possa dire nulla che più vivamente dipinga la sua infelice fortuna; perchè il povero nulla ha di buono. Sostiene il letterato la povertà soffrendo la fame, il freddo, la nudità colla giunta di tanti e tanti altri disagi; ma ad onta di tutto ciò non è a sì disperato partito che egli non mangi, benchè un po’ più tardi del costume, approfittando se non altro di quello che avanza ai ricchi, ch’è il più grande avvilimento a cui possano condursi i letterati, e che da loro si dice vivere allo scrocco; nè manca poi al letterato il modo di sottrarsi al freddo andandosi se non altro a scaldare a qualche braciera o all’altrui camino, per la qual cosa se non caccia da sè i brividi interamente, li mitiga almeno, e finalmente dorme coperto la notte. Non voglio estendermi ad altre minutezze, come sarebbe a dire l’essere senza camicia e senza scarpe, l’avere il vestito logoro