Pagina:Don Chisciotte (Gamba-Ambrosoli) Vol.1.djvu/47

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capitolo iii. 29


var dalla pila l’arme di don Chisciotte. Il quale vedendo costui, con alta voce sclamò: “O tu qual che tu sia, ardito cavaliere, che osi por mano sull’arme del più valoroso errante che abbia mai cinto spada, pon mente a quello che fai, e non toccarle se non vuoi pagare colla vita il fio del tuo grave ardimento„. Il vetturale non si curò di quelle ciancie (e questo fu gran male per lui che poi dovette curare la propria salute), e prendendo le cinghie dell’armatura, la scagliò gran tratto lontano da sè. Quando don Chisciotte ciò vide levò gli occhi al cielo, e volto il pensiero, per quanto parve, a Dulcinea sua signora, disse: “Soccorretemi, signora mia, nel primo cimento che presentasi a questo mio petto vassallo vostro; deh non manchi a me in questo primo incontro il favor vostro e la vostra difesa! Proferendo queste ed altre tali filastrocche, deposta la targa, alzò a due mani la lancia, e dato con essa un gran colpo sulla testa a quel vetturale, lo stramazzò così malconcio, che se un altro gliene accoccava non avria più avuto bisogno di medico che il risanasse. Ciò fatto, raccolse l’arme sue, e ricominciò a passeggiare colla stessa tranquillità di prima.