gliela porse tal quale, non avendo in sul momento saputo dove riporre la ricotta che vi era dentro. Don Chisciotte la pigliò, e senza badare ad altro se la mise prestamente in testa; ma quando la ricotta restò così stretta e spremuta, cominciò il siero a grondare per tutto il viso e lungo tutta la barba di don Chisciotte, il quale ne ebbe sì gran paura, che disse a Sancio: — Che vuol dir questo, o Sancio, che mi par che la testa mi s’intenerisca, e mi si liquefacciano le cervella? Io sudo tutto dai piedi alla testa: ma se è sudore, questo non è figlio già di paura, e convien credere che sia molto terribile la ventura che sta per accedermi: dammi qua di che asciugarmi chè il copioso sudore m’innonda„. Sancio tacque, gli diede il fazzoletto, e ringraziò il cielo che il padrone non si fosse accorto del fatto. Si nettò don Chisciotte, e poi si cavò la celata per vedere meglio da che procedesse l’infreddamento della sua testa. Scorgendovi dentro quella paniccia bianca, la fiutò e disse: — Al corpo della mia signora Dulcinea del Toboso che questa è ricotta che tu ci hai posto, scudiero traditore, indegno, balordo„. Con molta flemma e simulazione rispose Sancio: — Se è ricotta, vossignoria me la favorisca chè io me la mangerò: ma no, se la mangi pure il demonio, che sarà stato quello che costà l’avrà posta. E come mai avrei