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Aggiunse a queste poche altre parole, ma bastanti a togliere ogni speranza di poterlo rimovere dalla sua pazza risoluzione. Avrebbe voluto opporsi don Diego dal verde gabbano; ma considerata la ineguaglianza dell’arme, non gli parve savio partito di prendersela con un mentecatto, quale lo avea conosciuto allora di tutto punto. Tornando don Chisciotte ad affrettare il lionero, e reiterando le minacce, indusse don Diego a dare di sprone alla cavalla, e Sancio ai leardo, e il carrettiere alle mule, e procurarono talli di scostarsi dal carro prima che i leoni uscissero fuori. Piangeva Sancio la morte del povero suo padrone, tenendo per indubitato che questa dovesse sull’istante seguire fra le zanne del leone; malediceva la sua sorte, e chiamava disgraziata quell’ora in cui gli cadde in pensiero di tornare a servirlo; ma non per piangere e mettere querele intralasciava di battere l’asino affinchè si allontanasse dal carro. Ora vedendo il custode che già i fuggitivi erano fuori di pericolo, tornò a protestare e ad intimare a don Chisciotte le cose tutte che dianzi avea dette. Gli rispose questi che ogni cosa era da lui ben intesa, nè si curasse punto di altre intimazioni e proteste, mentre tutto sarebbe inutile, ma che non frammettesse alcun ritardo. Mentre il lionero apriva la prima gabbia stette considerando don Chisciotte se fosse miglior consiglio imprendere la pugna a piedi od a cavallo, ma stabilì di accingervisi a piedi, temeno che Ronzinante spaventar si potesse alla vista dei leoni. Balzò pertanto a terra, buttò via la lancia, imbracciò lo scudo, e sguainando la spada con maraviglioso coraggio e con forte cuore si pose dinanzi al carro, non senza raccomandarsi con tutta l’anima a Dio e a Dulcinea del Toboso sua signora. È da sapersi che giunto l’autore della presente verissima istoria a questo passo, così esclamava: “Oh forte, oh sopra ogni encomio animoso don Chisciotte della Mancia, specchio in cui possono mirarsi i valorosi tutti dell’orbe! Oh secondo e novello Manuel di Leone che fu onore e vanto dei cavalieri di Spagna! quali parole troverò io per narrare sì terribile prodezza? Come potrò io renderla credibile ai secoli futuri? E quale sarà la lode di cui tu non sii degno per quanto sia un’iperbole sopra tutte le iperboli? Tu a piedi, tu solo, tu intrepido, tu magnanimo, con una spada sola, e non di quelle taglienti del Perriglio, con uno scudo nè troppo risplendente nè di acciaio il più terso, tu stai intrepido attendendo i due più furiosi leoni che abbiano mai prodotto le selve dell’Affrica? Sieno le tue prodezze medesime quelle che ti dieno lode, o valoroso mancego, chè io qui le lascio mancandomi parole atte a magnificarle„. Qui faceva punto la riferita apostrofe dell’autore, e passava poi innanzi ripigliando il filo dell’isto-