Pagina:Don Chisciotte (Gamba-Ambrosoli) Vol.2.djvu/177

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capitolo xviii 167

necessario. Nel licenziarsi disse don Chisciotte a don Lorenzo. “Non so se altra volta io abbia detto alla signoria vostra, e, se lo dissi, or lo ripeto, che quando vogliate risparmiare la fatica del cammino e dei travagli per giugnere alla inaccessibile vetta del tempio della Fama, altro non vi è mestieri se non se lasciar da parte il sentiere della poesia ch’è un po’ stretto, per battere quello strettissimo della errante cavalleria, la quale può in un tratto farvi diventare imperadore„. Con questo avvertimento terminò don Chisciotte di chiudere il processo della sua pazzia ed ancora più col seguente: — Dio sa quanto vivo sia in me il desiderio di volere a compagno mio don Lorenzo per insegnargli la gran dottrina di perdonare ai suggetti e calpestare i superbi, virtù innate nella mia professione; ma non permettendolo questa sua verde età, nè gli altri suoi lodevoli esercizii, mi limiterò ad avvertirlo, ch’essendo poeta e volendo pervenire a celebrità, dee valutare più l’altrui che il proprio parere: non vi ha padre, non vi ha madre cui paiano brutti i propri figliuoli, e tanto più si trova il poeta in quest’inganno quanto più l’ingegno è mediocre„. Fecero nuove maraviglie padre e figliuolo della ineguaglianza dei ragionamenti di don Chisciotte, ora saggi ora spropositati; e della pertinace sua risoluzione di andare in cerca di sventurate venture, che formavano l’unico fine e la sola mira dei suoi pensamenti. Si reiterarono le offerte reciproche, e con buona licenza della padrona del castello, don Chisciotte sopra Ronzinante e Sancio sopra il leardo se ne partirono.