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quanta i cuochi, e tutti netti come candidi armellini, tutti diligenti e festosi tutti. Nel dilatato ventre di un vitello stavano riposti dodici piccioli porchetti che servivano a dargli sapore e tenerezza. Le spezierie di varie sorti non parevano comperate a libbre, ma a botti, e stavano tutte riposte in ampii cassoni. Finalmente l’apparato delle nozze era bensì rustico, ma così abbondante che avrebbe potuto bastare per un esercito.

Sancio Panza adocchiava ogni cosa, e a tutto si affezionava. Sulle prime restò imprigionato e vinto dalle pignatte, dalle quali avrebbe di buona voglia staccato un pignattino; la volontà passeggiava poi su quegli otri, nè era ritenuto rispetto alle paste fritte nelle padelle, se però poteansi chiamar padelle quelle enormi caldaie. Non potendo più resistere, nè stando in lui di fare altrimenti, si accostò ad uno di que’ tanti affaccendati cuochi, e con cortesi ed affamate espressioni pregollo che gli concedesse di poter intingere un tozzo di pane in una di quelle pignatte. Al che il cuoco rispose: — Fratello, in