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dopo questa un’altra danza di quelle che soglionsi chiamare danze parlanti. Era formata di otto ninfe in due schiere, una delle quali era diretta dal dio Cupido, e da Interesse l’altra; quegli adorno di ali ed arco e faretra e frecce; questi vestito di varii e ricchi colori d’oro e di seta Le ninfe che seguitavano Amore, portavano dietro le spalle su bianche pergamene scritto i loro nomi: Poesia era il titolo della prima, Discrezione quello della seconda, quello della terza Buon Lignaggio, quello della quarta Bravura. Nella stessa guisa andavano contrassegnate quelle che seguitavano l’Interesse: dicea Liberalità il titolo della prima, Dono quello della seconda, Tesoro quello della terza, e quello della quarta Pacifico Possesso. Erano preceduti tutti da un castello di legno tirato da quattro Satiri, tutti ricoperti di ellera e di canapa tinta di verde, sì al naturale che per poco non ispaventarono Sancio. In fronte e ai quattro lati del castello stava scritto: Castello di buona guardia; e vi stavano d’intorno quattro valenti suonatori di tamburino e di flauto. Cupido cominciava la danza, e, fatte due mutanze, alzava gli occhi e drizzava l’arco contro una donzella che ponevasi tra i merli del castello, ed alla quale egli diceva:

“Son io il Nume onnipossente nell’aria, sulla terra, nel profondo del mare, e su tutto quello che l’abisso racchiude in orribili bolge.

“Cosa ignota m’è la paura; e posso tutto quello ch’io voglio, quand’anche mi venisse talento dell’impossibile. In tutto ciò poi che possibile è, io aggiungo o levo, comando o proibisco„.