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finchè don Chisciotte non si accorgesse della burla, chiamò la donzella del bacino dicendole: — Venite e insaponate me pure, ma badate bene che non sia per mancarvi l’acqua„. La ragazza acuta e diligente gli si avvicinò, e pose il bacino sotto al mento del duca, prestamente lo lavò e insaponò bene, e lasciatolo asciutto e pulito e fattagli riverenza, tutte le donzelle partirono. Si venne poi a sapere che il duca era determinato che se non lo avessero lavato come don Chisciotte, avrebbe loro fatta costar cara una licenza che abbastanza emendarono coll’avere insaponato anche lui. Stette attento Sancio alle cerimonie di tutto il lavacro, e disse fra sè: — Perdinci che bella cosa se in questo paese si usasse di lavare la barba anche agli scudieri come si fa ai cavalieri! — E che bisogno che io ne avrei! e tanto più mi darebbero gusto se me la radessero col rasoio! — Che andate, o Sancio, fra voi mormorando? dimandò la duchessa. — Dico, signora, egli rispose, che nelle corti degli altri principi ho sempre sentito che nel levar le tovaglie danno bensì l’acqua alle mani, ma non il ranno, e che perciò bisogna vivere assai per vedere assai; come anche si dice che colui che lunga vita vive ha da passare per la trafila dei guai, ma il passare per uno di questi lavacri sarebbe più presto un gusto che un guaio. — Non vi date fastidio, amico Sancio, disse la duchessa, ch’io farò bene che le mie donzelle vi lavino e vi mettano anche in bucato se occorra. — Per ora mi contento della barba, disse Sancio, chè all’avvenire pensano gli astrologi. — Ehi, scalco, disse allora la duchessa, sentite quello che dimanda il buon Sancio, ed eseguite a puntino i suoi ordini„. Rispose lo scalco che il signor Sancio sarebbe servito in tutto, e con questo se ne andò a desinare, e menollo seco, restando tuttavia a tavola i duchi e don Chisciotte discorrendo fra loro di molte cose, tutte analoghe all’esercizio delle armi e della errante cavalleria.

La duchessa pregò don Chisciotte che le delineasse e descrivesse (sembrandole ch’egli avesse una felice memoria), la beltà e le fattezze della sua signora Dulcinea del Toboso, la quale, giusta quanto ne diceva la fama, doveva essere la più bella creatura della terra, ed anche di tutta la Mancia. Alla dimanda della duchessa don Chisciotte sospirò e disse: — Se potessi cavarmi dal petto il cuore e metterlo davanti agli sguardi dell’altezza vostra in un piatto sopra questa tavola, egli dispenserebbe la mia lingua dall’esporre quello che si può appena pensare, perchè l’eccellenza vostra vi vedrebbe il suo ritratto al vivo. Ma come posso io accingermi adesso a disegnare e a descrivere punto per punto e parte per parte la bellezza della senza pari Dulcinea? Questo è impegno superiore di troppo