Pagina:Don Chisciotte (Gamba-Ambrosoli) Vol.2.djvu/363

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capitolo xxxviii 353

la natura innalzarla; e m se si trattasse della discrezione, potremmo noi dire che fosse commisurata alla età sua? Era ella così discreta, come vezzosa e la più bella del mondo, e lo è tuttavia quando però gl’invidiosi destini e le parche inesorabili reciso non abbiano lo stame della sua vita. Ma non lo avranno tagliato no, chè non hanno a permettere i cieli che tanto danno abbia la terra: egli sarebbe uno strappare in agresto il grappolo dalla più bella vite del campo. Di sì esimia bellezza e sì debolmente lodata dalla infeconda mia lingua, s’innamorò un numero infinito di principi si naturali come stranaturali, fra i quali osò alzare i pensieri al cielo di tanta formosità un cavaliere privato che viveva nella corte, confidato nella sua gioventù, nel suo brio, e nelle sue molte abilità e grazie, accoppiate a facilità e felicità d’ingegno. Io voglio che sappiano le vostre grandezze, se non do loro fastidio, ch’egli suonava la chitarra sì bene che la faceva parlare, e di più, ch’era poeta e gran ballerino, e sapeva fare gabbie da uccelli tanto perfette, che con sì fatti lavori avrebbe potuto guadagnare da vivere se fosse diventato un pitocco. Queste grazie e queste buone parti sono bastanti ad abbattere una montagna, non che a fare inciampare una dilicata donzella; ma tutta questa sua gentilezza, questo raro brio, queste virtù, unite a tutte le attrattive e ai meriti che lo adornavano, a nulla sarebbero valse per far piegare la fanciulletta, se il vituperevole ladrone non avesse usato il rimedio di sedurre prima la mia persona. Volle il malandrino vagabondo senz’anima entrare a buon conto nella mia grazia, e subornarmi nel mio debole; acciocchè io, quale disleale castellano, gli dessi le chiavi della fortezza da me custodita. In sostanza egli mi ottenebrò lo intendimento, e sottomise la mia volontà con non so quali gioie ed orecchini che mi donò, ma quello che finì di farmi prostrare e cadere per terra furono certi versi che ho udito cantare una notte in una inferriata, la quale rispondeva in un chiassetto dov’egli stava, e che, se male non mi sovviene, erano così:

Dalla dolce mia nemica
     Nasce un mal che punge il cuore:
     E per mio maggior dolore
     Vuol ch’io ’l senta e non lo dica.

La composizione mi è sembrata una perla, e la voce una mandorla dolcissima, e d’allora in poi, scorgendo in quale errore io caddi a causa di questi e di altri consimili versi, ho considerato meco stessa che dovrebbero, seguendo il consiglio di Platone, bandirsi tutti i poeti dalle buone e ben regolate repubbliche, o almanco