Pagina:Don Chisciotte (Gamba-Ambrosoli) Vol.2.djvu/403

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capitolo xliv 393

egli stesso, che trasportati molti dall’attenzione se esigono le prodezze di don Chisciotte, non sarebbero stati in grado di prestarla alle Novellette, ma che le avrebbero scorse o all’infretta o con noia senza por mente alla vaghezza ed all’artifizio che in sè contengono, il quale scopertamente si mostrerebbe quando fossero escite alla luce staccate del tutto dalle pazzie di don Chisciotte e dalle balordaggini di Sancio Panza. Per questi motivi il citato autore in questa seconda Parte non volle innestare Novelle sciolte nè legate, ma introdusse qualche episodio nato dai successi medesimi, il che è più verisimile, e questo pure limitatamente e colle sole parole che bastano a dichiararlo. Si contenne e rinserrò negli stretti limiti della narrazione, benchè possedesse abilità, sufficienza e intendimento per trattare dell’universo intero; ed è quindi dovere che non si abbia a vile la sua fatica, anzi gli si dieno lodi, non tanto per quello che scrive, quanto per quello che ha tralasciato di scrivere. Dopo questo preambolo, continua la leggenda nel modo seguente:

Don Chisciotte dopo terminato il pranzo nel giorno in cui diede i consigli a Sancio, glieli fece tenere nella stessa sera al tardi in iscritto affinchè da qualcuno se li facesse leggere; non glieli avea però appena consegnati che caddero, e pervennero in mano del duca, il quale li comunicò alla duchessa, e tutti e due novamente stupirono della pazzia e dell’ingegno del cavaliere errante. Tirando eglino innanzi colle burle mandarono quella sera Sancio con grande accompagnamento al paese che per lui dovea essere isola. Colui pertanto che lo guidava colla sua responsabilità, era quello stesso maggiordomo del duca molto discreto e grazioso (chè non si dà grazia dove non è discrezione), il quale avea rappresentato il personaggio della contessa Trifaldi col buon garbo che abbiamo detto. Quest’uomo bene istrutto e avvertito da’ suoi padroni del modo che dovea tener con Sancio, riuscì a maraviglia nella esecuzione del suo impegno. Ora dunque avvenne che quando Sancio vide tal maggiordomo, raffigurò nel suo viso quello stesso della Trifaldi, e dirizzandosi al suo padrone gli disse: — O mi ha da portare il diavolo via di qua dove io sono bello ed intero, o mi ha a confessare la signoria vostra che il volto di questo maggiordomo del duca, che sta qui, è quello stesso della Trifaldi„. Don Chisciotte guardò e riguardò attentamente il maggiordomo, e poi disse a Sancio: — Non occorre che il diavolo ti porti, o Sancio, nè bello nè intero, perchè il viso della Trifaldi è proprio quello del maggiordomo: ma non è per questo che il maggiordomo sia la Trifaldi; chè se ciò fosse, implicherebbe grandissima contraddizione: ma non è tempo questo di avverare tali circostanze, mentre sarebbe un voler entrare in labi-