Pagina:Don Chisciotte (Gamba-Ambrosoli) Vol.2.djvu/405

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capitolo xliv 395

andare in pace e in buon’ora l’ottimo nostro Sancio, e attenditi due staia di risa che ti ha a produrre il sapere come si portò nel suo governo; frattanto ascolta quello che avvenne in quella notte al suo padrone: che se con questo racconto non riderai, comporrai per lo meno, come suol dirsi, le labbra a ghigno di scimmia: perchè gli avvenimenti che risguardan don Chisciotte, or hannosi a celebrar con ammirazione o con festività. Raccontasi dunque che appena partito Sancio sentì don Chisciotte il peso della sua solitudine; e se gli fosse stato possibile rivocare la commissione e torgli il governo, lo avrebbe fatto. Fu conosciuta dalla duchessa la sua malinconia, e lo domandò perchè stesse di sì malavoglia: che se ciò fosse per la partenza di Sancio, egli avrebbe potuto avere nella sua corte in vece di lui, a suo libero comando altri scudieri, e matrone e donzelle. — È vero, signora, rispose don Chisciotte, che mi pesa la lontananza di Sancio, ma non è questo il principale motivo che mi fa parere malinconico: quanto poi alle molte offerte che mi va facendo la bontà vostra, io non le accetto; solo sono contento della egregia intenzione con cui si fanno, e di nient’altro supplico vostra eccellenza fuorchè di consentire e permettere che io nella mia stanza e da per me solo mi serva. — In verità, signor don Chisciotte, disse la duchessa, che così non ha da essere, perchè intendo che restino ai suoi comandi quattro delle mie donzelle, belle e fresche come tante rose. — Non sarebbero rose per me disse don Chisciotte, ma tante spine che mi pungerebbero l’anima; e tanto è possibile ch’io le lasci entrare nella mia camera com’è possibile ch’elleno volino. Se è vero che piaccia alla vostra grandezza di continuare a spargere su di me i suoi favori con prodiga mano, tuttochè io non li meriti, mi usi quello di lasciarmi in piena mia balìa. Io prescelgo di essere il servitore di me medesimo nella mia solitudine, dove alzerò una muraglia fra i miei desiderii e la mia onestà, mentre perdere non voglio questo mio costume a cagione della liberalità che l’altezza vostra si compiace impartirmi: in conclusione, io torrei di dormir vestito anzi ch’essere spogliato da chicchessia. — Non più, non più, signor don Chisciotte, replicò la duchessa, che in quanto a me si appartiene, ordino risolutamente che neppure una mosca entri nella sua stanza, non che una donzella; nè io sono persona la quale voglia mai che per causa mia abbia a venir meno la decenza del signor don Chisciotte; e tanto più che, per quanto ho potuto osservare, nella signoria vostra, campeggia l’onestà tra le tante altre sue maschie virtù. Vossignoria si spogli e si vesta da sè solo e a suo modo, e come e quando le piace, chè non vi sarà chi glielo impedisca, e nella stanza sua troverà quanto mai può bisognare a chi dorme con la