Pagina:Doni, Anton Francesco – I marmi, Vol. I, 1928 – BEIC 1814190.djvu/127

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ragionamento settimo 121


     Non bisogna pensar con tai brigate
ragionar di virtú, ch’è lor nemica
75piú che non sono ai topi le granate:
     però non vi curate che io vi dica
la lor natura, ché sarebbe certo
78un per impoverir durar fatica.
     Qui la bravura sta, qui l’odio aperto,
qui con le fraude l’avarizia regna
81qui le fatiche altrui stan senza merto;
     qui porta Bacco e Venere l’insegna,
qui la bilancia sotto sopra è volta,
84qui non è cosa di notizia degna:
     tra questi pruni ho mia virtú sepolta;
or, lasso!, i’ me ne pento, i’ me ne pento,
87i’ me ne pento, il dico un’altra volta.
     Non vi dico qual sia mio pagamento
né quanto, perché spero in la bontade
90del mio signor che mi può far contento.
     Piú cose arei da dir, ma non accade,
ché ’l tempo passa, ed io d’angoscia mòro,
93per non trovarmi alla ducal cittade.
     Per me, s’i’ esco d’esto purgatoro,
fo vóto d’ire a Roma l’anno santo
96e farmi dir le messe di Gregoro:
     del che gli uomini e Dio pregato ho tanto
c’ho speranza d’uscirne in tempo corto
99e d’altrove gioir quanto ho qui pianto.
     Al duca ho scritto che quattro anni ho scorto
la vecchia e nuova tórre e ’l gran fanale,
102la fortezza, la terra e ’l molo e ’l porto,
     e che non lassi capitar qui male
un che ’l serve di cor, l’ama e l’adora:
105però, se Dio vi faccia cardinale,
     pregatel che di qui mi cavi fuora.

Nuto. Queste composizioni, allegre per chi l’ode, mi piacciono, ma per chi le servano non mi garbeggian: l’udire gli affanni di uno per dire la va in rima, sappiate che io non ci trovo troppo piacere. Io odo volentieri l’ottava rima