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138 i marmi - parte prima


inanzi che sien composti. La mia Gigantomacchia non è ancor nata, perché non è il tempo del parto: è ben vero che io son pregno; però la non si può vedere altrimenti.

Dattero. Che modo potrei io fare a dir loro qualche cosa?

Betto. In aere, ne potrete dir loro assai delle cose.

Dattero. Verbi grazia?

Betto. Scrivete come io ho formati certi giganti tanto grandi e tanto stupendi che, quando e’ nascono fuori del corpo della gigantessa, e’ son grandi per mille volte, anco due, e forse tremila, come la nostra cupola.

Dattero. Ah, ah, che bestial cose dite voi!

Betto. Dico delle pazzie che son tante pazze che le son piú belle che la pazzia; perché le son tanto maggior della pazzia quanto la pazzia è maggiore un milion di volte che la mia saviezza.

Dattero. E poi?

Betto. Crescono e combattono: chi piglia la luna per iscudo, chi il sole; altri si scagliano Etena e Mongibello nel capo l’un l’altro; chi sorbisce il mare in una boccata e lo sputa nel viso al suo nimico, con tutti i pesci, le balene, le navi e gli uomini che dentro vi sono; l’altro riparerá quella sorsata d’acqua con una mano e ripiglierá quei navili e quei pescioni sterminati e gne ne ritrarrá nella faccia; vi son poi de’ piú piccoli che pigliano con mano un esercito, con cavagli e artellerie, forse di cento mila persone, e tutto mettano nella lor celata e la traggono in alto che la sta sei mesi inanzi che la torni a basso, in modo che vi son poi dentro solamente l’ossa e l’arme.

Dattero. Che mangian questi giganti?

Betto. Come? quel che mangiano eglino? Hanno un mondo da loro, il quale è fuori del nostro, ed è proporzionato a loro, come questo a noi: e’ mangiano delle cose come noi altri, ma son tanto maggiori; come sarebbe a dire che ’l granel del grano fosse come questa cittá e tutto il dominio, un cappone grande come tutta Italia; un porco poi, a comparazione, sarebbe piú che la Magna; un bue, ditelo voi: cosí ciascuno di loro ne mangia poi mezza libra a pasto o una libbra, proprio come faccián noi.