Pagina:Doni, Anton Francesco – I marmi, Vol. I, 1928 – BEIC 1814190.djvu/181

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ragionamento della stampa 175


quando anco vi fosse possibile. Ma io credo ben che il Coccio non sia cosí di leggiero per lasciarsi abattere, e giá me lo par vedere tutto pronto al contrasto.

Coccio. Certo che l’intenzion mia non è di contendere con messer Alberto, ma sí bene di trarlo forse d’alcuno errore, nel quale per aventura si ritrova, tiratovi dalla dolcezza della gloria e dell’immortalitá; la quale, non so come, i fumi delle stampe sogliono vanamente promettere altrui.

Lollio. L’eternitá del nome è cosa che si può conservare ancóra in materia piú soda che le carte non sono. Ma voi non mi negherete giá che le carte e le scritture non abbiano fatto alcuno piú famoso che i metalli e i marmi non hanno fatto; e voi l’avete potuto ben comprendere nelle statove e nelle opere degli antichi; perciò che quelle o poco tempo si son conservate o monche o rotte sono giunte a’ nostri tempi; la qual cosa non so vedere come abbia tenuto l’intento loro. Ma queste, con maraviglia di chi è venuto dopo, hanno fatte apparer vive e intiere le immagini

di tai che non saranno senza fama,
se l’universo pria non si dissolve.

Coccio. Se egli è vero che le scritture abbiano avuto possanza di fare arrivare dopo tanti secoli fino a’ giorni nostri la memoria degli uomini valorosi giá spenti e ridotti in poca polve, io non so vedere questo sí grande obligo che noi abbiamo avere a Giovanni Cutembergo da Magonzia, inventore delle stampe l’anno mccccxi, poi che il mondo sí lungo tempo s’è valuto della penna in perpetuare i nomi e in conservare l’eternitá delle cose scritte.

Crivello. Se al tempo che la lingua latina fioriva ed erano in colmo le scienze e l’arti fosse stata in uso l’invenzione d’imprimere i libri, noi di molte belle cose siamo spogliati e cassi, le quali si sono sepolte nelle infinite distruzioni di Roma e d’Italia, che ora non desideraremmo né sospiraremmo invano.