Pagina:Doni, Anton Francesco – I marmi, Vol. I, 1928 – BEIC 1814190.djvu/188

Da Wikisource.
182 i marmi - parte seconda


Lollio. Non è egli questo verissimo?

Coccio. Certo sí. Ma ditemi: quando fu maggior copia d’uomini grandi, o in quei tempi che le stampe non erano ancóra al mondo o nella nostra etá che n’è sí gran dovizia per ogni loco?

Lollio. In ciascun tempo è stato gran numero d’uomini dotti.

Coccio. Vaglia a dire il vero, messer Alberto: non furono eglino infiniti gli uomini dotti e gli scrittori eccellenti al tempo d’Augusto?

Crivello. Il numero de’ grandi fu sempre piccolo.

Coccio. E ora è piú che mai. Ebbe quella etá Cicerone, Virgilio, Orazio, Ovidio e tanti celeberrimi oratori che bastarono ad illustrare la lingua latina.

Lollio. Ha il nostro secolo tanti poeti e tanti oratori che sono sufficienti a rendere la lingua toscana chiara e famosa e farla gir di pari con le due giá quasi spente, la greca e la latina.

Coccio. Non cosí a furia, fermatevi un poco: dei poeti ne abbiamo noi tanti che per ciascuno oratore ne potremmo annoverar cento; ma, come disse l’Ariosto,

son rari i cigni e gli poeti rari,
poeti che non sien del nome indegni.

Lollio. Io sto quasi per credere, s’io ardissi di dirlo, che al tempo di Marziale si ritrovassero stampatori di libri, e forse inanzi di lui; perché, quando egli voleva insegnare lá dove si vendevano i suoi libri degli Epigrammi, dopo alcuni versi dice:

Et faciet lucrum bibliopola Tryphon

quasi volesse dire: Aldo, che n’ha molti da vendere, fará gran guadagno d’essi; e, sendo chiaro che lo scrivere a mano è di grande spesa e di molta fatica, oltra il consumamento di tempo, certo è che un libraio di poco nome, come doveva esser questo