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222 i marmi - parte seconda


Neri. Dite i ducati che vi dette, che furon parecchi sacchetti. Voi ghignate? Tanti n’avessi chi non ha, come e’ furon parecchi migliaia! E per questo ne fate tante sugumere del fatto suo; e credo che in questo caso voi andiate sagacemente fingendo di tenére conto d’una mezza soletta, d’una correggia, d’uno sprone.

Giorgio. Che sprone! Non ho sproni; egli non cavalcava.

Neri. Questo è modo di dire; i ducati, diascolo!, sono quegli che vi fanno torcere il collo, e l’utile che di mano in mano cavate di tante paia di scarpettoni che voi spedite l’anno.

Giorgio. Cosí va ella bene la prèdica: io mi credetti darvi un poco di consolazione e voi date a me assai disturbo. Sará meglio che io vi lasci; restate in pace.

Michele. «La veritá partorisce odio», dice quel motto: ma egli ha fatto bene; perché, s’egli entrava nella prèdica, non usciva stasera. Oh che uomo!

Neri. Credo, se bene ho detto cosí seco, che sia buona persona: egli attende sempre a dir bene e far bene; da queste sue cosette di affezion particolari, certo, non si può dir se non bene.

Michele. Or lasciamo andar. Avete voi inteso di quel monte che s’è aperto in Portogallo e di quell’isola nuovamente trovata in mare? di quella nave che hanno presa, o arrivata ch’io mi voglia dire, nel porto di Talamone i nostri e di quel mostro nato nella Magna?

Neri. Saranno trovati; son novelle che son fatte per dar pasto alla plebe: non le credo.

Michele. Noi altri signori abbiamo le lettere fidelissime.

Neri. Per fare una cacciata tale, potrebbono esser finte.

Michele. La mano e il sigillo si riscontrano.

Neri. Tanto piú credo che vi sia sotto inganno, perché chi fa cotesta professione non vi manca di nulla: ma l’udire i casi forse mi potranno tirare nella vostra opinione. Non sapete voi che ogni anno ci nascono di coteste novelle? Se toccassi a me a regger gran numero di popoli e che il mio stato patisse di qualche cosa, súbito farei venir lettere che trattenessino con isperanza i popoli.