Pagina:Doni, Anton Francesco – I marmi, Vol. I, 1928 – BEIC 1814190.djvu/255

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ragionamenti arguti 249


Barone. D’altra amicizia non si parla stasera adunque?

Vittorio. Se non fosse si tardi, vi mostrerei una certa sorte d’amici inavvertenti che fanno peggio talvolta che i nimici. Oh che amici ignoranti! Con una parola rovinano una famiglia, con un sospetto, imaginato da goffi senza avvertenza, mettono al fondo un amico.

Barone. Son difficili costoro a conoscergli?

Vittorio. Difficilissimi; perché l’inavvertenza è un male che nasce da scempiezza e credulitá di credersi d’esser sagace, astuto e conoscere il pelo nell’uovo.

Agnolo. Io fuggirei di pigliar si fatte amistá.

Vittorio. Il piú difficil passo che sia al mondo e la piú fallace dottrina che s’impari è il credersi d’esser dotto nello squadrare le brigate: tal pare una mucia che è un serpente velenoso, un altro pare Orlando ed è una pecora. Chi fa professione di sapere piú che non sa, crede che l’uno e l’altro finga o che vadino alla reale né sa discernere l’esito del lor procedere, perché i fatti del mondo son piú diversi che le foglie e piú volubili e ciascuna azione tien del camaleonte: il proverbio che dice: «E’ si va per piú strade a Roma», è perfetto.

Barone. Io non mi fiderei mai d’uomo.

Vittorio. Bisogna andare a sotterrarsi, chi fa cotesto pensiero: noi siamo al mondo e bisogna viverci come porta l’uso del mondo: di questo sturatevene gli orecchi, ché l’è cosí e cosí ha da andare, mentre che egli sta in piedi; e chi piú ci vive è l’ingannato: basta, che non c’è uovo che non guazzi.

Agnolo. Dio mi guardi adunque d’amici inavvertenti.

Vittorio. Da’ doppi ancóra, da’ bilingui, da’ tristi.

Barone. Credo che bisogni gettare il ghiaccio tondo e dire: «Dio ci liberi dal male», come dice il Paternostro, e non ci lasci ancor noi far male ad altri.

Vittorio. Il meglio fia certo pregarlo che ci cavi del cuore i cattivi pensieri e che ancóra agli altri gli cancelli.

Agnolo. Amen.