Pagina:Doni, Anton Francesco – I marmi, Vol. I, 1928 – BEIC 1814190.djvu/45

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ragionamento terzo 39


Stradino. Doveva esser costui figliuol di qualche cagna arrabbiata e doveva aver poppato latte di tigra e pasciutosi sempre di carne di serpente, di basilisco e di coccodrillo, bevendo sangue continuamente sparso nella battaglia dei piú feroci animali che abitino ne’ boschi. Oh che animalaccio era egli! Dá qua questo libro, in mal punto, ché io non voglio udirne piú di costui.

Nicolò. Orsú, ecco che io passo parecchi quinterni.

Stradino. Leggi ora costí, ché io so che debbe esser passata la istoria di quel mostro crudele e nimico di Dio e della gente del mondo.

Nicolò. «Nell’anno duodecimo della fondazion di Roma, il primo re fu Romulo, il quale mandò un bando e chiamò tutti i banditi, i perseguitati e gli afflitti che erano fuori della patria, scacciati, volontariamente per timor fuggiti e a torto perseguitati, facendo loro assapere che gli rappacificherebbe, consolerebbe, aiuterebbe e soccorrerebbe in tutti i lor bisogni».

Stradino. Oh questo era un signor da bene! Cosí si fa a volere esser ben veduto e ben voluto! Ripiega la carta in tre doppi, che io non perda questa bella istoria.

Nicolò. «Divulgata la fama per tutta Italia della pietá e clemenza che Romulo usava in Roma (se gli annali degli antichi non m’ingannano), fu piú popolata Roma di dentro e di fuori in dieci anni che in cento Babillonia e Cartagine».

Stradino. Oh glorioso principe che avesti sí alto cuore! oh santo cervello che ritrovasti tanta pietá! oh lingua benedetta che comandasti sí beati comandamenti! oh che glorioso nome è il tuo! Leggete un poco quel titolo a maiuscole che è in questa altra faccia.

Nicolò. «Il re de’ Parti e d’Asia ai padri conscritti in Roma e all’aventurato popolo della cittá e d’Italia e a tutti coloro che hanno realitá di cuore, che tengano il nome di romani clementi e pietosi, salute, pace e tranquillitá sia data loro da gli dei».

Stradino. Guardate quel che fa esser pietoso! oh che bel titolo al nome romano! Vedete come, al tempo de’ buoni, gli