Pagina:Doni, Anton Francesco – I marmi, Vol. II, 1928 – BEIC 1814755.djvu/232

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I.

Quanto rare siano in genere le edizioni principi e tutte quasi, potremmo dire, le cinquecentesche, né solo cinquecentesche, del Doni sanno bene i bibliofili e gli studiosi di quel secolo. Eppure le piú opere ebbero, lui vivo e poco dopo lui morto, piú ristampe, tale ebbe favore quella sua ghiribizzosa facile vivezza tra’ signori e letterati e piú assai tra il popolo; sebbene i tempi alla libertá dei pensieri e dei costumi sopravvenuti ostili e la proibizione dalla chiesa decretata a’ suoi libri dovettero persuadere non pochi a disfarsene. Ma se li leggevano allora per ispasso ameno e giocondo, e se poi li ricercarono gli eruditi per loro compiacenze di erudizione, nell’etá avanti la nostra e nella nostra insieme, per altre piú ragioni e maggiori sono piú che mai parsi degni di studio. In vero e quella sua vita inquieta parve curiosa, e curioso il suo pensiero e non di rado in disparate materie precorritore di secoli, e la sua arte, fra tanta altra grande arte, tuttavia osservabile, e la sua lingua, fra l’infinita dovizia del suo tempo, doviziosissima e alle volte singolarissima, sí che bene è da stupire gli accademici della Crusca, chi sa perché crucciati con lui, non se ne siano voluti avvedere. Onde non desterá le meraviglie che da mezzo il secolo scorso rinverda e fiorisca sua fortuna. Qui intanto, in questi due primi volumi, a tratteggiarne, per cosí dire, i vari svolgimenti, dovrei, come nel principio, descrivere l’antiche e le moderne edizioni delle opere sue proprie e quelle altresí degli altrui studi recenti, non solo affinché ne sia tosto ambientato chi si accinga a ristudiare i begli umori di codesto «eteroclito», sí anche affinché il dotto e l’erudito abbiano in pronto quanto loro possa occorrere o piacere. Ne metterei insieme un volumetto e, a pur ragionarne un poco, un volume, e rifarei in parte ciò che giá è stato fatto e bene, cosa per un verso