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236 i marmi


gini; spento come se bruciasse nel primo dialogo il punto incendiario accenno al Savonarola, bandito piú oltre intorno al Savonarola l’ironico chiacchiericcio, non, s’intende, per amor del Savonarola, sí per gelosia della religione; cacciato il dialogo del Romito e degli altri con lui, gettate nel letamaio quelle lubriche salacitá della Zinzera e del Verdelotto; e altri, in somma, trastulli e non trastulli, che, a chi se ne voglia tuttavia deliziare lascio piú che volentieri se li cerchi egli a suo senno. Povero Doni, cosí libero e or cosí unto e compunto! cosí aggiustato, castigato in cotta e stola, egli che, pur avendole di fuori, le rinnegava fuori e dentro indispettito! E povero senso comune cosí in malora, con que’ tagliacci senza assai volte una cucitura alla peggio! Proprio ciò che non voleva egli si è dovuto soffrire. Dunque, codesta edizione del 1609 riponiamola senz’altro lá di dove l’abbiamo tolta e scusiamola pure quale documento dei tempi, ma non presumiamo di trarne vantaggio. Come se ne avvantaggiasse il Fanfani, non so capire: dice di averla tenuta a raffronto di quell’altra, di quell’altra riprende la scorrettezza; è ovvio l’ha tenuta in antidoto al veleno di tanti scerpelloni e a paracadute da tanti spropositi. Il vero è che anche dove ambedue le edizioni leggono concordi e dove le forme stanno benissimo e il senso non ci patisce nemmeno un quarticello di brivido egli, il Fanfani, ci ha pur voluto mettere la penna a mutare, alterare, adulterare. Ciò nonostante né io né i lettori carpiranno al Fanfani il merito di avere in quella selva selvaggia, come gli piace di chiamarla, parecchio districato e fatto anche di molta luce; sí che vi si può giá correre senza ansimare a mille intoppi e senza dar del capo in mille ostacoli. Anzi io, e per me e per i lettori gli so grado di avermi reso assai piú agevole il compito, poiché non è mai piccolo giovamento a bene o a meglio regolarsi il sapere come altri pratico si sia prima condotto. Avrei per altro voluto sapergliene maggiore. Non sempre la pazienza l’ha assistito né aiutato la riflessione e la comprensione: non avrebbe alle volte, e piú di frequente nei luoghi filosofici, interpunto in maniera che ne risulta un senso o deforme o addirittura contrario a quello che doveva essere ed era fuor d’ogni dubbio; non avrebbe omesso parole qua e lá che pur dava il testo ed eran necessarie, né altre ad emendare qua e lá aggiunte non necessarie per nulla; non avrebbe, egli vocabolarista, ricercando e ritrovando ne’ gran vocabolari, certe forme variato, vocaboli e frasi con essi; né poi avrebbe sospettato o notato guasti nelle stampe