Pagina:Doni, Anton Francesco – I marmi, Vol. II, 1928 – BEIC 1814755.djvu/48

Da Wikisource.


RAGIONAMENTI DE’ CIBI

FATTI A TAVOLA DA DUE ACADEMICI PEREGRINI

Il viver nostro vuol esser con misura e ordine in tutte le cose, nel bere e nel mangiare, nell’esercizio e nel riposo, nel dormire e nel vigliare, nel riempiersi e nel votarsi, nell’aver passione e allegrezza, e nel pigliar aere.


L’Ardito e il Quieto e un servitore.

Ardito. L’arte della milizia è tutta, o in una gran parte, contraria alla sanitá: e la vostra, che è della quiete, del riposo, non è molto buona; voi sete tutto peccia e parete pregno. Però, se noi non temperiamo le cose che ci danno disturbo con quelle che ci giovano, penso che noi faremo pochi carnesciali insieme.

Quieto. Io dormo bene, mangio, come avete veduto, meglio; il poco esercizio m’è sano e la poca fatica sanissima. Che cosa è sanitá, se non un non sentir male?

Ardito. Inanzi che io attendesse all’armi, studiai non so che tempo farmi medico e andai in pratica, feci mille recipe, ma, stufato di quella arte, mi diedi a questa: però, s’io dirò qualche cosa fuor dell’arme, non è gran fatto. La sanitá adunque, il mio signor Quieto, non è altro che temperamento e complessione pari e unita in noi altri, donde procedono tutte le nostre operazioni debitamente.

Quieto. Che cosa fia adunque la infirmitá? Una confusione distemperata, senza ordine o misura, che fa tutte le cose nostre andare in precipizio.

Ardito. Non sapete voi che il troppo esercizio vi fa affanno, male, e disturbavi tutto? Il dormire assai vi fa mezzo insensato,