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84 i marmi - parte terza


piú forte si diede lagrimare. Il barone, avendo avuto questa prima ferita, per cercare quel che non doveva e quel che non avrebbe voluto ritrovare, fu quasi spinto dallo sdegno a scoprirsi; ma, desideroso di sentir piú inanzi, con buone parole l’acquetò e gli fece il perdóno facile di tal peccato. Disse la donna: — Doppo il paggio, padre mio, pur con suo consentimento, perché altrimenti non ho potuto fare, anzi forzatamente l’ho fatto né ho possuto far di manco, se Dio mi perdoni, a un nobilissimo barone, tante volte quante egli ha voluto, carnalmente acconsentii; e doppo questo errore, ultimamente, che mi dispiace assai, sforzata e contra mia voglia, a un frate maladetto mi son data in preda (che tristo lo faccia Iddio!) ch’io non lo veggio mai con sí fatti panni adosso che io non gli desideri tutti i mali del mondo. — E dal dispiacere del peccato e dal dolore dell’ingiuria, gli sopravenne sí fieri singulti che piú parlare in modo alcuno non poteva. Il marito, piú dolente che consigliato, preso dal nuovo caso un furore pazzo e dalla maraviglia stordito, trattosi il capuccio di testa e a un tempo medesimo aperto la grata dove i confessori si stanno ascosti, disse: — Adunque, malvagia donna, non se’ stata in vano né hai passati i tuoi giorni indarno, ché sí disonestamente e sí lascivamente gli hai spesi! — Qui può imaginarsi ogni donna che in simili accidenti si fusse ritrovata, che dolor fu quello della femina colpevole: dove, vedutasi palesata e scoperta senza riparo di scusa alcuna, fu quasi per tramortire, non tanto per i casi passati quanto per la novitá del presente. Pure Iddio, volendo punire l’inganno del tradimento usato alla donna, gli diede non meno forza che virtú; e alzato gli occhi in verso il marito infuriato, con un arguto modo, quasi che da un nuovo sonno svegliata fosse, gli disse con un mal piglio: — Oh che nobil cavaliere! oh che gentil sangue di signore! oh che real barone che tu sei divenuto! Oh mia infelice sorte! Non so qual debb’esser piú ripresa in te delle due viltá dell’animo che t’è entrato nel petto, o l’imaginarti che la tua buona donna faccia fallo alla tua persona o l’esserti vestito si vilmente, astretto non meno da dappocagine d’intelletto che da furiositá di